LECCE - Una chiara mission per gli ospedali di base divisi tra area chirurgica e internistica, impulso ai cantieri in standby, patto aziendale, faro acceso sui costi. Questi i punti all’ordine del giorno dell’agenda 2024 del direttore generale di Asl Lecce, Stefano Rossi, che parla a tutto campo dei punti di forza e debolezza dell’azienda sanitaria che deve fare i conti con un punto interrogativo sullo scorporo del “Vito Fazzi” di Lecce ancora in predicato per volontà del Mef che ancora non ha dato il via libera alla costituzione dell’azienda ospedaliera, a Lecce come a Taranto.
Direttore Rossi, facendo un bilancio dell’anno ormai agli sgoccioli quali sono le criticità da affrontare nel 2024?
«Siamo ancora in arretrato su progetti di edilizia sanitaria che ci servono a meglio realizzare gli obiettivi che ci siamo prefissati: ritardi vecchi di anni. Abbiamo finanziamenti, riferiti all’articolo 20 della legge 67/88 per la ristrutturazione edilizia del patrimonio sanitario pubblico, bloccati da anni, alcuni riguardano il Vito Fazzi, ad esempio, a causa di contenziosi o cattiva gestione sia amministrativa che di conduzione dell’appalto da parte delle ditte che sono venute meno, ditte che sono fallite, modifiche in corso d’opera degli indirizzi e delle esigenze che hanno fatto sì che quella vecchia progettazione non sia più adeguata. Quando un appalto dura così tanto, accade che questi programmi di edilizia alla fine risultino non più attuali. D’altro canto il Covid ha stravolto completamente l’approccio al sistema sanitario e quindi ciò che è stato progettato all’epoca oggi non è più adeguato. Questo riguarda un po’ tutti gli ospedali compreso il Vito Fazzi, ad esempio. Babbo Natale è già passato e non posso scrivere una letterina, ma l’obiettivo è di riuscire a realizzare quegli investimenti che darebbero più efficienza e qualità al sistema».
E quali sarebbero questi investimenti?
«Parlo della riorganizzazione del polo pediatrico al Vito Fazzi, del completamento di una serie di interventi a Gallipoli e a Scorrano dove il pronto soccorso è fermo da tanto tempo, penso a Galatina, ospedale per noi molto importante in quanto facilmente lo possiamo riconvertire alla cura dei pazienti covid grazie alla presenza del Padiglione De Maria dove ci sono già le malattie infettive ed essendo separato dall’ospedale non interferisce con l’attività ordinaria. È quello che stiamo facendo in queste ore dedicando la maggiore attività al Covid. Ebbene ci sono una serie di investimenti che riguardano Galatina fermi da tanti anni perché la ditta, tra l’altro individuata da Invitalia, ci ha lasciato in braghe di tela. Purtroppo lì, come in una serie di altre gare, queste ditte vincevano dei macro lotti che poi non sono stati in grado di portare avanti. Per queste ragioni siamo fortemente in difficoltà, da questo punto di vista».
Guardando il bicchiere mezzo pieno, quali sono i vostri punti di orgoglio?
«Abbiamo completato circa trenta procedure per incarichi di direttore, gli ex primari per intenderci. Dico sempre che il personale è poco, ma se manca chi lo governa diventa anche meno efficace efficiente e produttivo. Quindi abbiamo fatto queste procedure ed è una corsa che facciamo quasi quotidianamente perché l’istruttoria non è facile in quanto i componenti della commissione vengono sorteggiati fra i primari di tutta Italia che devono dare la loro disponibilità e dobbiamo trovare le date che vanno bene a tutti in modo che possano venire. Insomma, sono processi complessi e quindi ringrazio l’ufficio del personale che si dedica a queste attività quotidianamente. Tra le cose importanti c’è il Centro di Procreazione Assistita dove siamo partiti con la PMA di secondo livello. Anche questa è una criticità che trovai appena insediato e questa è l’occasione per ringraziare il personale che lì pure sta svolgendo un buon lavoro. Poi ci sono le tante attività di ottimizzazione della spesa e di questo ringrazio il direttore amministrativo che insieme a tutto quanto lo staff delle aree amministrative ha consentito il risparmiato di circa nove milioni per la spesa di energia elettrica e tre sulla spesa per materiali di consumo e dispositivi medici, ma è un lavoro che stiamo continuando a fare. Stiamo galoppando sull’ospedale del Sud Salento, nonostante le tante difficoltà legate all’individuazione di un sito che aveva una serie di criticità legate a delle interferenze che stiamo cercando di superare».
In questo scenario non c’è ancora lo scorporo del Fazzi e gli ospedali di base sono allo stremo per carenza di personale. Quali sono le “cure”?
«Non abbiamo ancora l’autorizzazione allo scorporo, ma i programmi tra UniSalento e Regione e quindi Asl Lecce proseguono e non ci sono intoppi operativi. Per gli ospedali di base deve essere chiaro che non abbiamo medici sufficienti per gestire duplicazione di reparti, per questo sarà necessaria una riorganizzazione in cui Copertino confermi una specializzazione in area chirurgica e Galatina in quella internistica, come pure Gallipoli sarà indirizzato all’area chirurgica e Casarano a quella internistica».
Se questa è la visione, perché è stato aperto un reparto di Pneumologia a Gallipoli?
«Era previsto nel piano di riordino, ma quando presenteremo alla Regione l’Atto aziendale faremo presente la necessità di riorganizzazione con distinte aree chirurgiche e internistiche».
Il Covid sta rimontando. Quali sfide vi pone il morso dell’epidemia?
«Il Covid ritorna a mordere, per fortuna dà sintomi meno gravi rispetto al momento della pandemia che ricordiamo più triste a cavallo degli anni 2020, 2021 e 2022, però rimane il fatto che noi siamo usciti dal Covid grazie al vaccino. Quest’anno abbiamo registrato purtroppo una scarsissima adesione e i risultati sono questi. L’incrocio nefasto tra influenza e Covid, combinato alla scarsa adesione alla vaccinazione, sia quella antinfluenzale che quella del covid, sta generando una situazione in cui abbiamo tutti i posti letto destinati ai pazienti covid occupati e via via ne stiamo riconvertendo altri. Ripeto, i sintomi non sono quelli di un tempo, però quando il Covid incontra situazioni di comorbilità e pluripatologie può essere letale e purtroppo questo lo stiamo registrando. L’invito che faccio, ogni volta che ne ho l’occasione, è di correre a farsi vaccinare contro il covid dal proprio medico o, in alternativa, nei nostri centri vaccinali disseminati sul territorio».
Il vaccino ha permesso di contenere gli effetti nefasti della pandemia eppure attualmente pochi avvertono la necessità di vaccinarsi. Perché?
«Perché siamo un popolo con la memoria corta. Ci siamo dimenticati che siamo usciti dall’emergenza Covid grazie al vaccino. Ce ne siamo dimenticati e quando chiedo a qualcuno se ha fatto il vaccino, mi risponde “Sì l’ho fatto ne ho fatte tre dosi”. Stiamo parlando di chi si è fatto il vaccino per avere il Green pass e poter ritornare a circolare liberamente. Il nuovo vaccino, tra l’altro di ultimissima generazione, in molti non l’hanno fatto ritenendo che non fosse necessario. Oggi ci stiamo accorgendo quanto lo sia e ricordiamoci sempre che non ci vacciniamo soltanto per noi stessi, ma per non veicolare il virus anche al fragile che abbiamo anche in casa nostra».
La mancanza di prescrizioni sanitarie volte al contenimento dell’infezione, è un incentivo a non osservare comportamenti responsabili con la conseguenza di una maggiore propagazione dell’epidemia?
«I media continuano a parlarne. Programmi come Che tempo che fa di Fazio continuano a ospitare Burioni che continua a ripetere quanto sia importante vaccinarsi. Se parliamo con qualunque medico illuminato ci dice che le vaccinazioni sono uno dei tanti rimedi che abbiamo per rendere sostenibile il servizio sanitario e invece abbiamo da giorni i pronto soccorso intasati da gente che ha contratto il covid, i posti letto sono saturi perché i pazienti covid li sottraggono alla cura ordinaria. Ovviamente questo crea uno sbilancio di salute enorme e siccome il sistema sanitario è fortemente a rischio di sostenibilità se non ci vacciniamo, così come se non aderiamo ai programmi di screening, il servizio sanitario purtroppo rischierà di fallire».