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Ecco «Cut the Tongue»: brividi intensi di progressive rock

 
Alberto Nutricati

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Alberto Nutricati

Ecco «Cut the Tongue»: brividi intensi di progressive rock

La storia interiore del giovane Boy raccontata con echi floydiani nel concept-album dei Julius Project di Giuseppe Chiriatti

Martedì 24 Novembre 2020, 15:11

LECCE - Scriveva Nietzsche: «Senza musica, la vita sarebbe un errore». E un grave errore sarebbe stato lasciare il concept album di Julius Project, «Cut the Tongue», nel cassetto nel quale è rimasto per circa quarant’anni.
Per fortuna, la musica ha il potere di riannodare fili che si credevano spezzati, di riaccendere passioni che si ritenevano sopite, di dare compimento a storie semplicemente abbozzate e poi cadute nell’oblio.
E così, succede che, sul finire degli Anni ‘70, un giovane tastierista leccese, l’avvocato Giuseppe «Julius» Chiriatti, inizi a comporre alcuni brani dall’evidente impronta progressive da eseguire con i Forum, la sua band dell’epoca. Tuttavia, a causa della «svolta» verso il rock-jazz, i Forum ritengono «superati» quei pezzi, che finiscono nel classico cassetto, dove sarebbero restati per sempre, se non fosse stato per la figlia maggiore di Julius, Bianca, giornalista con una straordinaria sensibilità per la musica e una forte passione per il canto. Bianca apre quel cassetto, vi rovista, trova la demo dell’epoca, la ascolta, ne rimane folgorata e convince il padre a riprendere in mano quel progetto.
Il risultato è un album di rara bellezza e grande intensità, impreziosito dalla presenza di Richard Sinclair, leggenda del prog mondiale, Paolo Dolfini, ex Jumbo, Marco Croci, ex Maxophone, la stessa Bianca, che dà voce al protagonista, e, ancora, Filippo Dolfini, Dario Guidotti, Daniele Bianchini, Flavio Scansani, Francesco Marra, Mario Manfreda, Egidio Presicce e Martina Chiriatti, l’altra figlia di Giuseppe.

L’album uscirà ufficialmente domani, ma è già disponibile in pre-order su GT Music Distribution.
Questa, in estrema sintesi, la storia dell’album. Ma, parallela a questa, corre un’altra storia. Quella raccontata dal disco.
«L’album - spiega Julius - narra una storia non facile, quella di Boy, un ragazzo come tanti, che vive un percorso di crescita interiore attraverso esperienze dolorose, ma che lo porteranno a maturare e ad accettare la propria solitudine come necessaria a ritrovare se stesso».

L’album prende il titolo dall’omonimo brano, che fa riferimento alla necessità di tagliare la lingua ai falsi «profeti», i quali disprezzano i sentimenti e bramano il successo e la ricchezza. «Tuttavia - avverte Julius - ascoltando il disco, ognuno potrà dare la propria interpretazione, secondo il proprio vissuto».
Eppure, per tornare al già citato Nietzsche, si ha l’impressione, in più punti, di cogliere delle analogie con Zarathustra. Dopo aver vissuto nell’inganno, il saggio persiano è costretto a mordere e strappare la testa ad un serpente che cercava di soffocarlo con le sue illusioni. Solo così può compiere il proprio destino, nella «più solitaria delle solitudini».
Ma, lasciando da parte le suggestioni e tornando a parlare di musica, impossibile, nei cambi di ritmo e di tonalità, nella pulizia del suono, nella cura maniacale degli arrangiamenti e degli effetti sonori, non cogliere un certo legame con i mostri sacri del genere, tra i quali i Pink Floyd, tanto per la raffinatezza dell’esecuzione musicale quanto per la densità dei testi. Lo stesso Boy pare, per certi versi, l’alter ego di Pink, il protagonista di «The Wall», e la nebbia, alla quale è dedicato il primo brano, sembra una versione immateriale, e per questo più subdola, del muro floydiano. Ecco quindi che «Cut the Tongue» non è solo un progetto musicale, ma anche e soprattutto un viaggio nella nostra interiorità, che ci spinge a superare la nebbia esistenziale nella quale siamo avvolti, alla ricerca di noi stessi.

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