RACALE - «A nostro figlio vengono negate le cure». È l’odissea di due giovani genitori di Racale, Francesco e Victoria Verardi, che da anni lottano per vedere riconosciuta al figlio una cura specialistica per il trattamento delle patologie neurologiche. Il padre del bambino lo scorso anno ha querelato un medico (oggi ex direttore di Uoc) e due alti vertici della Asl di Lecce per diversi reati, tra cui omissione di atti d’ufficio e inosservanza delle circolari ministeriali.
Il bambino è nato nel 2015 con una grave patologia cerebrale. Dopo aver trascorso - nell’ospedale della città russa in cui ha visto la luce - i suoi primi dieci giorni in coma farmacologico, è miracolosamente restato in vita e, dopo due mesi, è rientrato in Italia. «A Roma ci è stato subito detto - racconta il padre - che sarebbe rimasto come un ciocco di legno. Ma non ci siamo rassegnati».
Così i genitori scoprono l’esistenza, a Pisa, dell’Istituto per il raggiungimento del potenziale umano, che pratica il «Metodo Doman». E qui inizia il calvario. L’accesso all’Istituto è estremamente costoso, ma la Regione Puglia (legge 26 del 2006) partecipa alle spese con un contributo. Partono, dunque, le richieste formali alla Asl. E con esse arrivano i primi dinieghi: «Sin dal primo contatto telefonico, il medico cui siamo stati indirizzati si è mostrato offeso dalla nostra richiesta, asserendo di non essere tenuto a prescrivere quanto richiesto». Il tempo passa e i genitori, con l’aiuto delle loro famiglie, sono costretti a farsi carico delle spese (20mila euro l’anno più l’acquisto del materiale) per avviare la terapia autonomamente. Al ritorno da Pisa, mentre la madre prosegue le terapie sul bimbo, il padre si improvvisa falegname e costruisce in casa un’efficiente palestra che aiuta il piccolo a gattonare e a camminare senza subire il peso della forza di gravità, mentre un costoso macchinario lo aiuta a ridurre le crisi epilettiche. Intanto si avvicina il secondo semestre e parte una nuova richiesta, seguita, ancora una volta, da una risposta negativa che costringe i genitori a reiterare la domanda mettendone a conoscenza la Procura. A questo punto arriva, ormai insperato, un parere positivo, seguito da un rimborso per un semestre, al termine del quale i genitori, convinti di aver finalmente chiarito la questione, inviano una nuova istanza di finanziamento. La sorpresa è grande quando tornano a ricevere un diniego: «Il medico si è giustificato dicendo di non essere al corrente di un esborso periodico di denaro, nonostante la Regione abbia previsto la necessità di richiedere il contributo a ogni ciclo, peraltro utilizzando uno specifico capitolato accantonato in anticipo».
Partono, dunque, una missiva alla direzione generale della Asl e un ricorso d’urgenza ex articolo 700. Quest’ultimo viene rigettato per «complessità della materia». Viene respinto anche il successivo reclamo. I genitori, forti anche delle motivazioni della sentenza (che chiarisce che la terapia può essere prescritta anche da uno specialista pubblico o privato), presentano per tempo una nuova richiesta, alla quale però non segue risposta. Da qui le querele per omissione di atti d’ufficio, ingiustizia manifesta e altri reati. Nemmeno il successivo incontro con i vertici Asl e la produzione di due relazioni mediche, di una prescrizione pediatrica e di un’istanza di accettazione della pratica di rimborso in autotutela, producono risultati: «Oggi - spiega Francesco - sono ancora in attesa di risposte». Tra l’altro, in una lettera trasmessa ad Asl, Procura e Regione, Verardi ha fatto presente che il medico querelato, «negli anni in cui sono iniziati i nostri dissidi era probabilmente titolare di doppio incarico, presso l’Asl e presso un centro privato. Vorrei - sono le parole della missiva - che almeno si riflettesse sull’opportunità di chiedere un parere proprio ad un alto funzionario di una struttura privata che sia concorrente della Asl e concorrente di quella di cui si discute».
«Siamo allo stremo delle forze finanziarie, con l’impossibilità di aggiornare la terapia al bimbo, ma con nessuna intenzione di mollare. Abbiamo contattato terapisti esteri e li abbiamo condotti qui per poter trattare nostro figlio e altri piccoli che non stanno trovando sollievo nelle strutture Asl». Oltre alla pratica del metodo Doman, aggiunge il padre, «al bambino viene somministrato un farmaco a base di cannabidiolo dai costi esorbitanti, circa 340 euro ogni 4 giorni, necessario per la cura dell’epilessia farmaco-resistente. Anche questo ci è stato negato: siamo stati costretti a uscire fuori provincia per approvvigionarci. Attualmente le due terapie ci sono costate 200mila euro e la vendita di un appartamento di 80mila euro. Credo che di fronte a un tale dissanguamento di risorse, qualunque genitore prosegua con le cure solo se le stesse producono effetti molto più che evidenti, addirittura lampanti».