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Il tragico attentato di Sarajevo. La rotta dei tedeschi in Russia

Il tragico attentato di Sarajevo. La rotta dei tedeschi in Russia

 
Annabella De Robertis

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Annabella De Robertis

Il tragico attentato di Sarajevo. La rotta dei tedeschi in Russia

Sabato 01 Luglio 2023, 10:57

«L’Arciduca Ereditario d’Austria e la moglie assassinati mentre ieri, a Seraievo, si recavano ad una festa in loro onore». È il 29 giugno 1914: il giorno prima al «Corriere delle Puglie» è arrivata per telegrafo la tragica notizia che cambia per sempre la storia d’Europa e del mondo intero. Francesco Ferdinando e la moglie Sofia, Duchessa di Hohenberg, erano appena arrivati a Sarajevo, capitale della Bosnia Erzegovina: nel 1908, nonostante le tensioni etniche e religiose e le rivendicazioni della vicina Serbia, la regione era stata annessa all’Impero austro-ungarico. Si legge sul quotidiano la cronaca dell’accaduto: «Alle 10 giungeva a Sarajevo l’automobile arciducale. Nella vettura era l’Arciduca in uniforme di feldmaresciallo austriaco e l’Arciduchessa in abito bianca. Ad un tratto si udì una forte esplosione. Una bomba era caduta sull’orlo sinistro dell’automobile ma senza esplodere. Si vide allora l’Arciduca tendere le braccia ed allontanare l’involucro, che precipitò a terra, scoppiando. Ma l’automobile, che andava a notevole velocità, non fu colpita; la coppia principesca rimase illesa, ma alcuni tra la folla, rimasero feriti. L’automobile aveva percorso una settantina di metri quando si udirono secchi alcuni colpi di rivoltella. Dalla folla un giovane, con l’arma spianata verso l’automobile, aveva scaricato tutti i colpi. Si vide nell’automobile l’Arciduca abbandonarsi sui cuscini con il volto rigato di sangue». Il nome del secondo attentatore già compare sul «Corriere»: è il nazionalista serbo Gavrilo Princip, di appena vent’anni. L’assassinio è il culmine di una escalation di tensione tra la Serbia e l’Impero asburgico, che riesce a sfruttare l’occasione per una definitiva resa dei conti. Il 28 luglio l’Imperatore Francesco Giuseppe dichiarerà guerra alla Serbia: sarà solo l’inizio del Primo conflitto mondiale.

«I russi investono Minsk»: così titola «La Gazzetta del Mezzogiorno» del 1° luglio 1944 dando notizia dell’avanzata dell’esercito sovietico e della progressiva disfatta dei tedeschi. Mentre l’Italia centro-settentrionale e l’Europa intera sono ancora immerse nell’incubo del secondo conflitto mondiale, Bari e la Puglia vivono, invece, con la ritirata dell’esercito nazista e l’arrivo degli Alleati, una prima fase di dopoguerra. Riprendono, fin da subito, anche le attività culturali, in gran parte grazie al ruolo svolto da Radio Bari, una delle prime emittenti libere d’Italia, e dalla stampa. In quarta pagina, sulla stessa edizione del quotidiano, scopriamo che al cinema Umberto si proietta Eterna illusione di Frank Capra, mentre al Cineteatro dopolavoro si può assistere a Serenata a Vallechiara con Glenn Miller e Lynn Bari. Al Teatro Piccinni, invece, dopo il grande successo dei giorni precedenti, va di nuovo in scena Piccola città di Thornton Wilder: ad allestire la pièce è la Compagnia italiana di prosa, «un’organizzazione teatrale sorta ad iniziativa di attori e registi profughi nell’Italia liberata», si scrive sulla «Gazzetta». Il capoluogo pugliese, infatti, si rivela in quei mesi rifugio per una grande quantità di sceneggiatori, registi, attori italiani e stranieri – ma anche musicisti e direttori d’orchestra che si esibiscono in concerti sinfonici organizzati dall’Eiar – approdati a Bari dopo esser sfuggiti alla guerra, all’occupazione nemica, ai campi di internamento e di prigionia: costoro, nonostante le precarie condizioni di vita, riescono a dare avvio ad una vera e propria stagione teatrale. La Compagnia è diretta da Gae Petro ed è composta dai registi Alberto Perrini ed Edmondo Cancellieri e da Carlo Bressan, Ubaldo Lai e molti altri attori e attrici, in gran parte ebrei. Tra questi c’è Guido Ferri, pseudonimo di Cesare Polacco, che nel decennio successivo raggiungerà la popolarità con gli sceneggiati Rai ed il celebre Carosello della brillantina Linetti, in cui vestirà i panni dell’ispettore Rock. Il Teatro Piccinni è, in quei mesi del ‘44, un laboratorio culturale, ma anche il luogo in cui decine di artisti possono riacquisire la propria dignità, umana e professionale, in un’Italia e in un’Europa che ancora a lungo avrebbero dovuto patire per ritrovare la pace.

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