Marini, secondo l'accusa, calunniò non solo i vari esponenti politici tirati dentro l'inchiesta sul presunto affare del gestore telefonico dell'ex Jugoslavia, prima della Procura di Torino e poi della Commissione parlamentare, ma anche i cardinali Carlo Maria Martini e Camillo Ruini. Per la procura Marini avrebbe incolpato Prodi, Fassino, il viceministro Francesco Rutelli, il sindaco di Roma Walter Veltroni e l'ex ministro degli Esteri Lamberto Dini di corruzione e abuso d'ufficio e Mastella di ricettazione, pur sapendoli innocenti.
Marini sostenne l'esistenza di un accordo tra Prodi, Dini, Fassino, l'ex presidente jugoslavo Slobodan Milosevic e il diplomatico Dojcilo Maslovaric che stabiliva le percentuali destinate a ciascuno nell'affare Telecom-Telekom, sempre secondo gli atti dei magistrati romani. Di Donatella Zingone, moglie di Dini, e dei cardinali Ruini e Carlo Maria Martini, Marini aveva affermato che avrebbero dovuto ricevere denaro proveniente dall'operazione.
Negli atti compaiono personaggi e vicende, inventati secondo l'accusa, da Marini e da altri soggetti, come quella relativa a una tentata truffa che riguardava un rubino di 320 carati del valore di 32 milioni di dollari. Accusati sono anche tre imprenditori accusati di aver inviato alla commissione parlamentare presieduta da Vincenzo Trantino, un dossier falso sugli allora leader del centrosinistra Prodi e Dini, soprannominati «mortad» e «ranoc». Gli imprenditori Maurizio De Simone, Giovanni Romanazzi e Antonio Volpe avevano accusato i due, nell'estate 2003, di aver ricevuto 125.000 dollari.
Sulla vicenda, legata alle presunte tangenti pagate da Telecom per l'acquisto di quote dell'operatore telefonico serbo, hanno prima indagato gli inquirenti di Torino. Poi gli atti sono stati trasferiti a Roma. Il gup aveva accolto la costituzione di parte civile di Romano Prodi, Francesco Rutelli, Walter Veltroni, Clemente Mastella, Piero Fassino, Lamberto e Donatella Dini.
















