Presidente Vendola, il capolinea del governo Draghi è stato accolto con preoccupazione da sindaci, imprese e mercati. Era un epilogo prevedibile?
«Il governo Draghi ha rappresentato il compiersi di un paradosso apparente: l’alleanza tra i populisti e i loro avversari più mitizzati, tra sedicenti rivoluzionari e quel Palazzo che dicevano di abbattere e che invece li ha ingoiati. Lo dico con parole inappropriate: è stata l’alleanza tra i giacobini e Maria Antonietta. Solo che qui non c’è Robespierre, noi abbiamo Di Maio, il cui cinismo e il cui dilettantismo hanno generato la crisi. Vedo che tutti sparano su Giuseppe Conte, come se non contasse il colpo al cuore dei Cinque stelle inferto proprio da Di Maio. Il Ministro degli esteri nel nome della stabilità del governo ha appiccato il fuoco a casa sua, Berlusconi ha riscoperto la sua natura incendiaria e così le fiamme si sono propagate in tutto il Palazzo: del governo è rimasta solo cenere. Si chiama eterogenesi dei fini. E dunque ora si vota, mi verrebbe da dire finalmente. Certo, in un momento terribile, in una congiuntura internazionale rovente e con l’aggravarsi inarrestabile della crisi sociale. Ma non si possono considerare le elezioni e la democrazia come un fantasma da esorcizzare».
Come giudica l’esperienza dell’esecutivo guidato dall’ex presidente della Bce?
«Sarò sincero, giudico negativamente un governo che, secondo me, si è dimostrato incapace di quel profilo riformatore di cui il Paese ha bisogno per affrontare il dilagare della povertà, persino tra chi un lavoro ce l’ha, e per mettere in campo un programma credibile di giustizia sociale. Ho trovato irritante la discrasia tra la retorica pomposa degli annunci e la modestia delle realizzazioni. Era il governo della celebrata “transizione ecologica” e ha rimesso al centro delle proprie scelte i combustibili fossili. E poi, mi permetto di chiedere: si può essere così subalterni agli interessi degli Stati Uniti, da diventarne quasi l’avamposto politico e militare? E si può non “ripudiare la guerra” e farlo con l’arroganza di chi non sopporta il dibattito e il dissenso? E infine basta con l’invocazione dei tecnici e della tecnica: non c’è nulla di più politico del governare».
La crisi si è infiammata per le richieste dei 5S su salario minimo, superbonus e inceneritore. C’era spazio per una mediazione?
«I 5S non hanno una cultura politica che vada oltre gli slogan e i simboli, i loro miti fondativi sono effimeri, si imprigionano da soli nella gabbia delle loro semplificazioni. Quelli che pensavano che le istituzioni fossero scatolette di tonno sono stati spiazzati dalla complessità delle cose. Poi ci sono quelli che hanno cominciato ad apprezzare il tonno. Non credo che ci fosse ormai alcuna mediazione utile a rilanciare l’azione di governo, ma solo un tirare a campare».
Alla fine però sono stati Fi e Lega a staccare la spina...
«La destra fa il proprio mestiere, sente il vento in poppa, è sempre il vero punto di congiunzione tra oligarchie e populismo. Da Berlusconi a Trump, andata e ritorno, tutelano i ricchi e si presentano come vendicatori dei poveri. È la sinistra che non fa il proprio mestiere, con radicalità e innovazione, smettendola di suicidarsi nel moderatismo, nel riformismo delle contro-riforme, nel pacifismo a mano armata».
Per Letta del Pd il campo largo è da considerarsi quasi superato. Cosa viene dopo?
«Io non so bene cosa sia il campo largo: una semplice alleanza elettorale, senza una solida e condivisa piattaforma di valori e di programmi, serve solo a coltivare illusioni. Credo che invece occorra una seria, credibile, coraggiosa sfida di alternativa, che significa innanzitutto mettere in campo un’idea dell’Italia dei diritti e delle libertà, di un nuovo sviluppo fondato sulla centralità dei beni comuni e sulla qualità del lavoro, dell’ambiente e della vita».
In Francia la sinistra ha ritrovato una centralità con l’esperienza della gauche creola di Mélenchon. È una formula riproponibile in Italia?
«In Francia la sinistra moderata si è squagliata da tempo e la sinistra radicale, con dietro un popolo vero, ha sfidato gli estremisti di centro, cioè Macron, togliendo fiato e ruolo alla destra radicale della Le Pen: e ha conseguito un risultato straordinario. C’è, a me pare, una lezione da apprendere a Parigi».
Ha un libro da consigliare a Mario Draghi per l’estate?
«Non sono così presuntuoso da dare consigli a un uomo della statura di Draghi, il quale potrà beneficiare dei consigli di tanti editori suoi stimatori. Certo, sarei felice se anche lui comprasse e leggesse il libro del nostro Premio Strega Mario Desiati. Si chiama “Spatriati”, mi pare un titolo in sintonia col momento».