Potrebbe essere l’unico candidato pugliese per la categoria dei pubblici ministeri alle prossime elezioni del Csm, che si svolgeranno il prossimo 18 e 19 settembre con il nuovo sistema elettorale disegnato dalla Riforma Cartabia. Maurizio Carbone, napoletano d’origine ma tarantino d’adozione ( dal 1995 in servizio nella procura jonica, dove dal 2017 ricopre il ruolo di procuratore aggiunto) è pronto ad affrontare la sfida delle primarie indette dal gruppo di Area, fissate per i prossimi domani e l’8 luglio in modalità telematica.
«Un metodo di selezione delle candidature previsto dallo statuto di Area per garantire trasparenza e democraticità», spiega Carbone che non è nuovo a incarichi associativi: è stato segretario generale dell’Anm dal 2012 al 2016. Nel 2015 è fra gli organizzatori del congresso nazionale di Anm presso il teatro Petruzzelli, con la partecipazione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Dopo il caso Palamara l’immagine pubblica della magistratura è stata gravemente compromessa: quali dovranno essere secondo lei le priorità del nuovo Csm?
«I prossimi eletti al Csm avranno il compito di restituire piena autorevolezza al sistema di autogoverno della Magistratura, quale massima garanzia per la tutela della autonomia e indipendenza della Magistratura, nell’ interesse di tutti i cittadini. Tale obiettivo andrà perseguito assicurando la massima trasparenza e una maggiore tempestività nella trattazione delle pratiche. Questo percorso passa anche attraverso una migliore comunicazione all’ esterno dell’ attività del Consiglio: Una comunicazione istituzionale che faccia sentire il Csm la “casa comune” di tutti i magistrati».
Negli ultimi anni l’ opinione pubblica ha fortemente criticato l'operato dei magistrati, quasi come se essi fossero i responsabili di tutti i mali del paese. Però nel momento in cui lo strumento referendario ha dato ai cittadini la possibilità di esprimersi si è registrato un forte astensionismo. Come interpreta questo comportamento?
«Gli elettori italiani hanno percepito l’ utilizzo strumentale degli ultimi referendum che erano stati presentati come una sorta di sondaggio a favore o contro la magistratura ed hanno risposto con un ampio astensionismo. I temi referendari d’ altronde attenevano a questioni molto tecniche che mal si prestano al ricorso del referendum: temi che poco o nulla avevano a che fare con i veri problemi della giustizia».
E infatti gli addetti ai lavori sostengono che nessuno dei quesiti referendari abbia centrato il vero vulnus del sistema giustizia: qual è secondo lei la criticità più urgente da risolvere?
«Non c’ è dubbio che il problema maggiore sia quello della lentezza dei processi. Ancora una volta il legislatore con la riforma Cartabia ha dato una risposta ampiamente insoddisfacente su questo punto. L’ introduzione dell’ istituto della improcedibilità (i giudizi di impugnazione di Appello e Cassazione devono concludersi rispettivamente entro due anni ed un anno, pena l'improcedibilità dell'azione penale, ndr) non solo non costituisce una soluzione a tale problema, ma anzi rischia concretamente di vanificare nei successivi gradi di giudizio il lavoro svolto nel corso delle indagini e del primo grado di giudizio. La fase emergenziale seguita al diffondersi della pandemia ha dato una forte accelerazione alla informatizzazione, ma restano enormi problemi nel settore della edilizia giudiziaria come ben sappiamo anche nella realtà degli uffici giudiziari pugliesi».
A fronte di un legislatore a volte impreciso e generico, i magistrati sono chiamati sempre più spesso a delimitare e meglio specificare le norme. Dunque non solo ad applicare il diritto ma di fatto ne diventano quasi gli artefici. È un bene o un male secondo lei?
«I magistrati sono chiamati a interpretare e applicare le leggi. L’ evoluzione giurisprudenziale ha spesso posto rimedio alla imprecisione e all’ eccessivo tecnicismo del legislatore. Altre volte la magistratura è stata chiamata a colmare veri e propri vuoti legislativi ed è intervenuta per affermare e tutelare fondamentali valori costituzionali . Non sempre questo importante compito dei magistrati è stato apprezzato ed anzi è stato vissuto dalla politica quasi come una indebita invasione di campo. Anche la riforma Cartabia sembra andare in questa direzione, indicando un modello di magistrato burocrate, timoroso che tende ad uniformarsi agli indirizzi giurisprudenziali prevalenti, piuttosto che concorrere alla evoluzione del diritto vivente. Sarà compito del prossimo Csm opporsi a questo modello e valorizzare la professionalità e la passione dei tanti magistrati italiani, respingendo il rischio di un approccio burocratico nell’ esercizio di una giurisdizione sempre più schiacciata dai numeri e dal timore di sanzioni disciplinari».