Due pugliesi e un lucano contro il decreto Ucraina: sono Veronica Giannone di Forza Italia, Cataldo Mininno di L’alternativa c’è e Vito Petrocelli dei 5S. Tre no, con tre motivazioni differenti. Se il grillino Petrocelli, tarantino eletto in Basilicata, ha sempre espresso posizioni eterodosse in politica estera (prima filocinese, fin dal tempo del memorandum per la Via della Seta, e ora filorusso), e Mininno si è allineato alle posizioni anti-Draghi del gruppo degli ex pentastellati capeggiato dalla Lezzi, l’azzurra Veronica Giannone, salentina, esprime una posizione pacifista, “non politica”, figlia di un forte travaglio, così spiegato alla “Gazzetta”: “Chiarisco subito che non sono filo-russa. Da domenica mi chiamano da ogni media: in quattro anni da parlamentare mi sono occupata di temi rilevanti come l’allontanamento dei minori dalle famiglie, ma non ho mai avuto attenzioni…”.
Il voto contro la fornitura di armi a Kiev, però, ha fatto discutere: “E’ una espressione di coscienza. Probabilmente non può essere dichiarata completamente politica. Mi sono posta delle domande sulla base dei miei principi morali”. Da dove parte? "Le armi sono strumenti per uccidere le persone. Ci sono tanti morti in Ucraina, non si sa quanti sono. Fossero migliaia, ma anche fosse solo uno, credo che inviare altre armi può solo aumentare il numero ulteriore dei feriti e dei deceduti”. La Giannone non contesta l’orientamento della maggioranza del parlamento, ma rivendica lo spazio del suo dissenso: “Non dico che chi ha votato a favore è per la guerra, ma io non voglio la pace facendo la guerra. Non credo alla proposta del presidente Draghi sull’Ucraina. Avevo preannunciato al capogruppo Paolo Barelli il mio voto contrario e predisposto degli emendamenti ma non li ho proprio depositati, per rispetto nei confronti dei miei colleghi”. Poi prosegue il ragionamento: “La condanna dell’utilizzo delle armi da parte di Putin è indiscutibile, ma contesto alla politica internazionale una disattenzione o una sottovalutazione del conflitto che c’era già nel Donbass. I grandi della terra dovevano trovare un punto di convergenza, mentre ora assistiamo ad una pseudotrattativa. Non abbiamo certezza di quello che succede, mentre negli anni passati c’era il tempo di trovare una intesa”. La riflessione della Giannone prosegue così: “Sono sempre stato pacifista, e sono stata anche contro i decreti sicurezza di Salvini nel governo giallo-verde. Sono contraria all’utilizzo delle armi. Ho un padre maresciallo dei carabinieri, sono cresciuta in caserma, e mi hanno insegnato a non avvicinarmi alle armi d’ordinanza. Bisogna utilizzarla proprio quando non c’è altra soluzione, come ultima spiaggia. Comprendo anche chi dice che Zelensky si vuole difendere. Lo capisco ma con tutte queste morti, mi chiedo se la sua è una difesa con un senso”. Sul suo futuro politico, in conclusione, la Giannone non si sbilancia: “Mi sento di centro, e sto bene in Forza Italia partito che comprende le sensibilità differenti, compresa la mia. Ripresentarmi alle politiche? Non lo so. Sono ancora combattuta, per motivi famigliari. Tra la Puglia e Roma sottraggo molto tempo ai miei figli”.
Petrocelli, infine, ha i minuti contati nel M5S. Il capo politico Giuseppe Conte - non avendo strumenti per farlo decadere della presidenza della Commissione Esteri di Palazzo Madama - lo ha scaricato dalle colonne de “La Stampa”: “Petrocelli si porrà fuori non per a questione delle armi, che è tema che interroga profondamente le nostre coscienze, ma perché ha anticipato di non accordare la fiducia a qualsiasi provvedimento del governo”.