TARANTO - L’ex direttore delle Poste che spiava le colleghe con una telecamera piazzata all’interno del bagno dell’ufficio se tornasse in libertà potrebbe inquinare le prove e continuare a carpire immagini e filmati di donne. È quanto scrive il Tribunale del Riesame nelle motivazioni dell’ordinanza con la quale il 20 luglio scorso ha confermato gli arresti domiciliari per l’uomo accusato di interferenze illecite nella vita privata: la decisione diede pienamente ragione a quanto ricostruito dal pubblico ministero Mariano Buccoliero che aveva coordinato le indagini della Guardia di finanza di Taranto. Nelle 44 pagine del documento depositato nelle scorse ore, il collegio di magistrati, presieduto dal giudice Patrizia Todisco e a latere Alessandro de Tomasi e Antonio Giannico, ha infatti spiegato che «il pericolo di reiterazione di condotte del tipo di quelle considerate è chiaramente desumibile dalla personalità dell’indagato atteso che il numero elevato di videoriprese effettuate evidenzia una totale incapacità di autocontrollo in un soggetto alla costante ricerca di immagini video di donne in momenti di intimità che ha dato vita ad una vera e propria prassi consolidata e reiterata nel tempo».
Nella sua discussione, l’avvocato difensore Luigi Semeraro, aveva provato a fornire una versione differente dei fatti spiegando che lo scopo del direttore non era affatto quello di carpire immagini «hot» delle donne, ma che dopo un poderoso calo lavorativo all’interno dell'Ufficio Postale, l’indagato avrebbe convocato le dipendenti per «spronarle», ma aveva avuto la sensazione che alcune di esse parlassero a sua insaputa contro di lui e così, preso dal timore che qualcuno alle sue spalle stesse «tramando» un piano per allontanarlo da quell'ufficio, aveva piazzato una telecamera per ascoltare i discorsi delle colleghe. Una tesi che non ha affatto convinto il Tribunale che nelle motivazioni ha evidenziato come mai l’uomo ha deciso di captare delle immagini con una telecamera-spia nella toilette e non di utilizzare un semplice registratore audio. E soprattutto non è chiaro il perché l’ex direttore invece di «ricorrere agli strumenti a sua disposizione per far fronte al presunto scarso rendimento ha inteso ricorrere alla illecita captazione video», ma non è stato «in grado di riferire se la telecamera utilizzata per le registrazioni video sia effettivamente dotata di un microfono atto alla registrazione delle conversazioni». Insomma per i magistrati del Riesame, quell’azione era semplicemente il frutto della «incapacità di autocontrollo» dell’uomo che «non ha mostrato alcuno scrupolo nel procurarsi e detenere immagini relative a momenti della vita privata» delle colleghe, ma non solo.
Gli inquirenti hanno infatti ritrovato anche video girati all’esterno dell’ambiente di lavoro che riprendevano le nudità di altre donne. E a questo si aggiungono anche dei fotogrammi scattati dall’indagato sotto una scrivania che raffigurano le gambe di una donna. Infine il Riesame ha sottolineato come quelle riprese illecite siano avvenute in «un arco temporale particolarmente esteso» che partono addirittura dal 2019 tanto da consentirgli di costruirsi «un vero e proprio archivio contenente immagini/video di vita privata delle dipendenti dell'ufficio postale» che una volta venuto a conoscenza della denuncia avrebbe provato a far scomparire attraverso la «bonifica» del computer. Un’azione non andata secondo le sue intenzioni dato che i finanzieri sono riusciti a recuperare migliaia di frame e alcuni video completi che lo hanno portato sotto indagine. Le motivazioni del Tribunale dovranno essere valutate dall'avvocato Semeraro per comprendere se sussistono i requisiti per proporre un ricorso alla Corte di Cassazione nell'interesse del proprio assistito.