Il furto al museo del Louvre solleva una serie di interrogativi. Alcuni riguardano l’architettura e l’urbanistica. È difficile spiegarsi come a Parigi, in una città affollata, alle 9.30 di mattina, in uno dei musei più famosi del mondo, in uno degli edifici più in vista, una banda di criminali abbia potuto agire in maniera indisturbata. È bastato un montacarichi e la presenza di un cantiere i cui mezzi e attrezzature ostruiscono la circolazione (oltre che la vista dell’edificio, particolare non secondario). Così i malviventi, muniti di caschetti e gilet gialli, si sono mimetizzati tra gli operai.
L’emergenza sicurezza è questione sociologica, economica e anche architettonica e urbanistica: legata alla forma dello spazio. Lo avevano compreso gli studiosi e gli architetti della CPTED (Crime Prevention Through Enviromental Design).
Nata negli Stati Uniti negli anni ’60 e diffusasi in Europa negli anni ’90, la CPTED unisce teorie comportamentali e psicologiche alla pianificazione urbana e alla progettazione architettonica.
Negli anni ’60, Elizabeth Wood, direttrice della Chicago Housing Authority, sviluppò linee guida per la crescita della sicurezza nelle zone popolari e per l’integrazione sociale attraverso una oculata progettazione urbana.
All’epoca, l’antropologa, scrittrice e attivista americana Jane Jacobs, pubblicava il libro The dead and life of great american cities (1961), criticando il concetto di riqualificazione urbana del tempo, l’isolamento dei quartieri, il principio per cui una strada vuota è più sicura di una affollata e l’eccessivo utilizzo delle auto. Due i principi fondamentali dell’autrice: le necessità che il controllo avvenga naturalmente attraverso la diversificazione delle attività nei quartieri e che il cittadino percepisca chiaro il senso di comunità. Se in una strada le attività sono continue e diversificate, aumenta la sicurezza; inoltre, gli abitanti, sentendosi parte dello spazio, naturalmente lo difendono come un qualcosa che gli appartiene.
La svolta arriva fra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70: un gruppo di ricercatori della Columbia University composto da psicologi, sociologi e urbanisti concretizzava le teorie della Jacobs. A coordinarli l’architetto Oscar Newman con George Rand.
Newman conia il termine “Defensible Spaces” (spazi difendibili). Cosa serve quindi per garantire sicurezza, per far sentire i cittadini sicuri? Quattro gli elementi chiave: Territorialità (senso di appartenenza incentivato dall’ambiente fisico: barriere fisiche o simboliche tra spazi pubblici e privati e creazione di complessi di piccole dimensioni); sorveglianza naturale (presenza costante della gente in un quartiere: disposizione delle finestre, visibilità degli accessi e illuminazione notturna); immagine urbana (un edificio o uno spazio non curato appaiono “di nessuno”, incentivando il crimine). Serve, infine, progettare spazi con funzioni miste per garantire una vitalità dinamica.
Ma il padre della CPTED fu il criminologo C. Ray Jeffery. Nel 1971 pubblicò l’omonimo libro: Crime Prevention Through Enviromental Design, dimostrando come lo spazio incida sui comportamenti e quindi come siano necessari la vigilanza dei cittadini, una vivace e continua attività e la manutenzione degli spazi per creare deterrenti contro la criminalità. La rapina al Louvre ha sconvolto l’opinione pubblica mondiale, ma quel cantiere “ingombrante” ha dato ragione a Jeffrey, ai suoi predecessori e a tutti i suoi seguaci.
















