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“Il silenzio dei comunisti”, che spettacolo la memoria del presente

 
Dorella Cianci

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Dorella Cianci

“Il silenzio dei comunisti”, che spettacolo la memoria del presente

«Teatro e politica sono un binomio nobile e antico, che si intersecano l’uno nell’altro fino a perderne i confini. Lo sapeva bene Euripide e l’ha confermato sempre Aristofane»

Lunedì 24 Febbraio 2025, 06:15

«Teatro e politica sono un binomio nobile e antico, che si intersecano l’uno nell’altro fino a perderne i confini. Lo sapeva bene Euripide e l’ha confermato sempre Aristofane»: lo disse un gigante del nostro tempo in una delle sue lezioni, Luca Ronconi. E ora siamo qui a ricordarlo.

È partito mercoledì scorso dal Teatro Stabile di Torino, in collaborazione con Rai Cultura, il ricordo di Ronconi, con la proiezione, in anteprima, de Il silenzio dei comunisti, testo di Vittorio Foa, Miriam Mafai, Alfredo Reichlin, per la regia Ronconi stesso e l’interpretazione di Luigi Lo Cascio, Maria Paiato e Fausto Russo Alesi. Oggi questo spettacolo ha tanto da raccontarci sul nostro tempo e sulla politica attuale. Dichiarava Ronconi in merito alla sua regia tratta da questo speciale carteggio, pubblicato dall’editore Einaudi: «Il silenzio dei comunisti è un testo che invita al dialogo. Lo dicono chiaramente questi personaggi: è importante la conoscenza degli altri, il rapporto con gli altri, il dialogo con gli altri, senza rinunciare alla propria appartenenza. Non dobbiamo pensare che l’appartenenza sia esclusione o cieca rivendicazione identitaria».

Entriamo nello specifico, a iniziare proprio dal quel bellissimo volumetto uscito per la nobile collana «Struzzi». Nel 2002, Vittorio Foa scrisse una serie di lettere a due ex compagni di partito, Miriam Mafai e Alfredo Reichlin, chiedendo loro di esprimersi sul cosiddetto “silenzio dei comunisti”, ossia su cosa avesse rappresentato per loro il PCI e la militanza politica, interrogandosi al contempo sulle ragioni per cui sempre meno persone, nella società odierna, si definissero “comunisti”. Da queste sette lettere è nato una sorta di piccolo epistolario, che pose e pone domande forti alla sinistra e che toccò la curiosità di Ronconi, il quale ne intravide uno spunto prezioso per raccontare la transizione fra epoche storiche e la crisi di alcuni elementi della sinistra italiana.

Facciamo un passo indietro e torniamo al testo. Scriveva Foa: «Erano milioni in tutto il mondo e, anche in Italia, gli uomini e le donne che si dicevano comunisti. In Italia pochi anni fa, più di un terzo dei cittadini si dicevano tali. Ora stanno in gran parte in silenzio, il loro passato è cancellato nella memoria.  […] Ma c’è qualcosa di più importante del silenzio. Il comunismo è finito e l’anticomunismo continua a imperversare non come tentativo di ragione, ma come insulto; non come ricerca, ma come aggressione. Perché tutto questo? L’anticomunismo a vuoto non è forse paura? Perché si ha paura? E di che cosa?».  Da questi interrogativi, Luca Ronconi si sentì sollecitato a interrogarsi sul teatro in rapporto alla politica, alle istituzioni e al suo senso nel mondo attuale. Nasce da qui la sua versione del “silenzio”.

Fra le note di regia scrisse che le domande di quegli autori - Mafai, Reichlin e Foa -  erano tutte domande appassionanti, piene di concetti e di momenti che stavano sì a cuore a loro stessi, ma che potranno, poi, aiutare il pubblico a riflettere. Quello che colpì Ronconi di questo breve epistolario furono due cose: la grande sincerità e l’assoluta onestà. Aggiunse poi: «Se andiamo alle radici dei diversi interrogativi proposti dagli autori, ci troviamo speranze deluse». Sempre nei suoi appunti, Ronconi scrisse che quegli interrogativi di Foa aiutavano a individuare domande essenziali per tutta la politica: quale fu davvero il rapporto fra i comunisti italiani e l’Unione Sovietica? Il vero protagonista degli appunti di scena del regista è il silenzio, che non è reticenza, ma è un argomento portante, di cui è necessario sentirne il peso. Precisò, inoltre, Ronconi nel suo taccuino: «Quale l’impatto che avrà questo testo sul pubblico? Chi ha la nostra età sarà spronato a fare i conti con ciò che ha voluto dimenticare. Chi è molto più giovane, invece, si troverà di fronte a qualcosa di estremamente concreto e forse si troverà a fare i conti con una specie di mancanza di memoria collettiva».

La conclusione delle note ronconiane allo spettacolo è una grande lezione per tutti: «Ecco, mi chiedo se una delle funzioni del teatro non sia proprio quella di sollecitare una memoria, specialmente se è una memoria del presente e non necessariamente una memoria di ciò che ci siamo lasciati alle spalle».

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