Cinquant’anni di radiocronache non si raccontano. Si attraversano. Nella sua lunga carriera dietro al microfono, Michele Salomone ha visto il Bari risorgere, cadere, emozionare e deludere. Ha accompagnato generazioni di tifosi nelle pagine più luminose e in quelle più dolorose della storia biancorossa. Ma nemmeno chi ha vissuto mezzo secolo di calcio poteva immaginare l’imbarazzo sportivo del 5-0 rimediato a Empoli lo scorso fine settimana. Un crollo che ha fatto riaffiorare alla memoria un altro tonfo storico, quel 7-1 di Cremona del campionato ‘95/96, coinciso con l’esordio di Eugenio Fascetti in panchina. Oggi come allora, un nuovo tecnico - Vincenzo Vivarini - ha vissuto il battesimo più duro. Ed un cronista che narra da una vita le sorti del Bari ha dovuto trovare parole per raccontare l’inenarrabile. La chicca nel post Empoli-Bari con la girata di spalle del ds Magalini una volta “incassata” una sua domanda legittima sul proprio futuro biancorosso dopo lo scempio.
Salomone, lei era sull’aereo di ritorno con i calciatori del Bari e i tifosi protagonisti del battibecco che ha fatto il giro dei social?
«Si. Ero seduto alla fila dieci. Mentre il diverbio si è svolto dalla fila ventisei in poi. Quest’anno, già a Bologna, di rientro dalla sconfitta di Modena, le due parti si accapigliarono nell’aerostazione. Perciò, stavolta i giocatori e i dirigenti si sono inizialmente isolati nell’area vip facendo prima salire tutti i passeggeri. Una volta entrati, i tesserati biancorossi sono stati accolti da fischi e frasi di scherno. Poi, ne è nato un tafferuglio. La gente si è alzata e non ho visto nulla. Ma sentito tutto, ritenendo che i calciatori abbiano avuto una reazione. L’aereo è partito con venti minuti di ritardo, dopo l’intervento della polizia. In carriera non mi era mai successo».
Quando ha dovuto raccontare il 5-0 di Empoli ha sentito che stava toccando uno dei punti più bassi della storia recente del Bari?
«Certo. L’ultimo 5-0 risaliva al 1961, quando andavo allo stadio da tifoso. Ad un certo punto, ho temuto che si andasse oltre quel passivo. Ormai, stava diventando un tiro a segno».
C’è stato un momento preciso della partita in cui ha realizzato che quella cronaca sarebbe rimasta tra le più dolorose della sua carriera?
«Sul 3-0 ho visto la squadra praticamente ferma, con gli avversari che tiravano a piacimento senza incontrare alcun ostacolo».
Nel suo ruolo, la voce deve restare ferma anche quando il cuore vacilla. Quanto è difficile mantenere lucidità mentre si assiste a una prestazione così deludente?
«Se avessi detto quello che pensavo in quel momento, oggi sarei radiato dall’albo dei giornalisti. Ma, giustamente, gli ascoltatori della radio hanno diritto ad un racconto fedele. Dal tono della voce, chi ascolta capisce bene lo stato d’animo di chi racconta».
Il 7-1 di Cremona segnò l’esordio di Fascetti. Oggi, il 5-0 arriva all’esordio di Vivarini. Qual è la prima similitudine emotiva che le è saltata agli occhi tra quei due momenti?
«Due partite diverse. A Cremona si era in A, il Bari passò in vantaggio. Nonostante il passivo e la retrocessione in B di quel campionato con Protti capocannoniere, non ci fu la resa. Ad Empoli, invece, il quadro è stato più preoccupante con la squadra consegnata all’avversario senza lottare e senza giocare. Almeno dal 40’ del primo tempo, sino a quando l’Empoli ha compreso che poteva osare. Il secondo tempo è stata drammatico».
Secondo lei, cosa pesa di più su un cronista: la partita in sé o la consapevolezza di quello che rappresenta per una tifoseria già provata?
«Entrambe, perché mi fa pensare vedere oltre seicento persone che si sono sobbarcate 1500 chilometri rimettendoci dei soldi. Oltre al fatto che una sconfitta del genere rischia di compromettere un campionato che, senza svolta, ti porta sott’acqua e retrocedi. A gennaio, serviranno investimenti seri con giocatori bravi, sani e pronti. Coi soldi li trovi, anche in prestito».
Durante la radiocronaca di Empoli, ha percepito un senso di smarrimento diverso rispetto alle altre sconfitte pesanti che ha vissuto?
«Si. Con la mia emittente facciamo segmenti di radiocronaca. Ad un certo punto, abbiamo evitato perché non aveva più senso con un Bari in totale disarmo».
Qual è stata la sua emozione più autentica a fine gara? Rabbia, tristezza, incredulità o un senso di impotenza?
«Cerco sempre di essere imparziale e non fare il tifoso. Ma, da barese, ho vissuto una profonda umiliazione. Oltre un senso di impotenza, guardando negli occhi i tifosi che chiedevano giustizia».
Guardando indietro alla sua carriera, pensa che l’episodio di Empoli dica qualcosa di più profondo sulla ciclicità del Bari o è un fatto isolato che il tempo finirà per assorbire?
«In passato c’era una società vigile e presente. Oggi, Luigi De Laurentiis viene a Bari solo per assistere alle partite. Non ha la completa percezione della realtà, affidandosi ai suoi dirigenti. Non vedo una guida sicura, a cominciare dai due ds».
Dopo il 5-0 di Empoli, alla sua domanda sulle possibili dimissioni, Giuseppe Magalini - insieme al suo vice Valerio Di Cesare - si è sottratto al microfono, rispondendo in modo piccato e poi allontanandosi. Che impressione le ha fatto quel comportamento, e cosa rivela, secondo lei, dello stato emotivo e gestionale del club in questo momento?
«Non mi era mai successo. Non avevo nulla di personale con Magalini e Di Cesare. In sedici mesi hanno commesso tanti errori. Parlano i fatti, compresa la rischiosa rivoluzione dell’ultimo mercato. Le interviste non devono guardare in faccia nessuno laddove ovviamente ce ne siano le ragioni. Serve coraggio e non mi è mai mancato. In passato, è accaduto con altri allenatori e dirigenti che, andati via, poi mi abbiano cercato come punto di riferimento. Su tutti, Giorgio Perinetti».
















