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Pirandello e Marta Abba. Neanche un minuto di non amore

Pirandello e Marta Abba. Neanche un minuto di non amore

 
pasquale bellini

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pasquale bellini

Pirandello e Marta Abba. Neanche un minuto di non amore

Insomma ci fu o non ci fu, quella notte durante la tournée, il fatidico “congresso carnale” fra i due? Risposta: ni.

Lunedì 17 Febbraio 2025, 09:59

Che accadde in quella notte dell’ottobre 1925, nelle stanze dell’Hotel Plinius a Como, fra Luigi Pirandello drammaturgo di 58 anni e Marta Abba attrice emergente di 25? Pirandello, in una lettera alla ragazza l’anno dopo, la definisce “atroce notte”. Ecco nella lettera all’attrice dell’agosto ’26: «Io non domando altro tempo che quello che mi abbisogna per finire i lavori che ancora mi restano da scrivere: senza questo dove sarei a quest’ora, dopo l’atroce notte passata a Como?» Insomma ci fu o non ci fu, quella notte durante la tournée, il fatidico “congresso carnale” fra i due? Risposta: ni.

Non è dato sapere se e chi dei due bussò alla porta dell’altro/a, ricevendone chissà un rifiuto o forse un ritrarsi sgomento, o disperato, o calcolato. Pirandello aveva conosciuto Marta Abba e i suoi capelli rosso fuoco nel febbraio ’25 e lei divenne subito primattrice del Teatro d’Arte. Lui era da poco reduce, dopo anni di tormenti, dal ricovero in una clinica (nel 1919) della moglie Antonietta Portulano, con le sue crisi psichiche, con la gelosia morbosa e le terribili violenze contro il marito (agguati notturni, coltello alla mano) o contro la figlia Lietta (accusata di incesto, indotta quasi al suicidio): l’incontro con la giovane attrice fu una sorsata di vitalità, anche di sensualità rigogliosa, pur fra remore, dubbi e ritrosie da antico gentiluomo siciliano, nonché da autore ormai acclarato, in preda a perbenismi e convenzioni.

L’epistolario fra i due, 560 lettere di Pirandello, 238 della Abba in risposta (Caro Maestro, 1994 Mursia, Lettere a Marta Abba, Mondadori-Meridiani, ’95) rivela un singolare “non amore” da parte della donna: la Abba vi parla di spettacoli, colleghi, serate e viaggi, chiama sempre Pirandello “Maestro” dandogli del Lei, come per tenere a bada le sue effusioni. Effusioni, in Pirandello, di un “malamore” tardo e disperato, più scritto che vissuto. Dieci anni di lettere e spasimi, fino alla vigilia della morte dell’autore (dicembre 1936) quando la sua Musa è ormai partita, via per sempre verso gli Stati Uniti.

In una lettera P. scrive: «Marta mia, sono una mosca senza capo: scrivo di te e per te ma non andrei avanti di una sola parola se la tua divina immagine ispiratrice mi abbandonasse per un solo istante. Aiutami, aiutami, per carità, Marta mia, non mi lasciare, non mi abbandonare: ho tanto bisogno di te, di sentirti uguale e vicina: scrivimi, fatti viva, ho tutta la mai vita in te. La mia arte sei tu, senza il tuo respiro, muore!». Risposta di Marta Abba: «Ho un grande raffreddore: la recita è andata benissimo, il finale del primo atto necessita di qualche lieve modifica. Il resto bene». Sì, per dieci anni Marta Abba domina Pirandello con il suo razionale “non amore”, con la sua crudele lontananza, mentre Pirandello con i suoi fantasmi sessuali non riesce a dominare la sua passione, sempre angosciato dal fantasma della vecchiaia: «Muoio perché non so più che farmene della vita». Atroce appunto, come quella notte a Como.

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