Da qualche anno, a detta di tanti, la musica non vive un periodo florido, una condizione in parte condivisibile soprattutto dal lato creativo, ma che forse non tiene conto di quanta musica buona viene prodotta al mondo. La mancanza, forse, sta proprio nella divulgazione delle proposte, decisamente fuori dai normali circuiti mediatici e più popolari, che consentirebbero magari all’ascoltatore di affinare e comprendere meglio alcune proposte all’apparenza ostiche. Insomma, bisognerebbe offrire un vero e articolato ventaglio di proposte, in modo che chi ascolta possa scegliere a ragion veduta. Ma com’è noto, soprattutto nel mondo televisivo e radiofonico, molti preferiscono playlist e artisti standardizzati con brani di facile ascolto, che rientrano nel cliché modaiolo del momento, la cui centralità spesso è fatta di look e gossip di ogni tipo (modello estensibile anche ad altre forme d’arte).
A questo punto almeno un paio di domande sono d’obbligo: la musica è ancora una delle sette arti? Esiste una musica di serie A e una di B? Forse, bisognerebbe comunicare a pensare che al mondo esistono entrambe e che la differenza può semplicemente essere “etichettata” tra musica buona e cattiva, qualsiasi genere e artista sia. Anche perché la musica è arte e cultura, ma anche intelligente leggerezza, e sottolineo intelligente. Del resto grazie alla sua immediatezza, rappresenta la via di accesso alla parte più profonda ed autentica del nostro mondo interiore, sia esso giocoso che riflessivo. A darci l’input per affrontare in parte questo tema (l’argomento è ampio e complesso), nei giorni scorsi Jovanotti, come ampiamente raccontato dai media e social, ha asserito che “la canzone “Gloria” di Umberto Tozzi non ha nulla da invidiare a “La locomotiva” di Guccini”.
Chiamato in ballo Francesco Guccini, uno dei più prestigiosi cantautori, nonché scrittore, della canzone italiana, ha prontamente risposto di non essere d’accordo. Motivando che “la mia è una canzone popolare, di andamento popolare, quindi una canzone che nella sua complessità è semplice. Ma ha anche aggiunto che «dietro le mie canzoni, ci sono dei libri, delle letture, c’è cultura. Quindi c’è un lavoro intellettuale dietro certe canzoni, senza per questo cadere nella divisione di musica di serie A e B».
Rispetto alla canzone “Gloria” di Tozzi, Guccini ha precisato: «è una bella canzone che si ascolta volentieri, però non c’è una storia dietro, non c’è qualche cosa che si possa chiamare cultura, anche se è una bella canzone». In conclusione possiamo dire che non si tratta di stabilire una gerarchia rigida tra musica di “serie A” e di “serie B”, ma riconoscere che esistono diverse funzioni e approcci alla musica, molto spesso legati alla conoscenza e alla sensibilità dell’ascoltatore, non certo agevolato dalla divulgazione dei media popolari.
Di certo sappiamo che artisti come Guccini (i suoi testi vengono studiati anche a scuola) oltre ad aver donato pagine importanti alla cultura musicale italiana, hanno saputo cogliere momenti rilevanti e a pari passo con la storia del nostro Paese. E qui c’è una bella differenza con la musica di intrattenimento, peraltro anch’essa valida per altri obiettivi che non sono culturali.