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La Sicilia alle urne: Musumeci
allunga su Cancelleri. Crollo Pd

 
Franco Giuliano

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Franco Giuliano

 Elezioni Regionali in Sicilia, Exit poll: Musumeci 35-39%; Cancelleri 33-37%

Domenica 05 Novembre 2017, 22:17

06 Novembre 2017, 13:37

Nello Musumeci allunga su Giancarlo Cancelleri e dopo un testa a testa nella mattinata le proiezioni lo danno due punti sopra il suo contendente M5s.

Intanto i dati sulle liste danno il Movimento cinque stelle al 28%, Forza Italia al 13% e il Pd intorno all'11. Mentre il presidente del Senato Pietro Grasso replica alle parole di ieri di Davide Faraone ("Micari ha avuto il coraggio che Grasso non ha avuto"): "Il presidente del Senato - sottolinea il suo portavoce - ha comunicato ufficialmente e con parole inequivocabili l'impossibilità, per motivi di carattere istituzionale, di candidarsi alla Regione Siciliana il 25 giugno scorso". "Non si può certamente addebitare a Grasso - prosegue - il fatto che, al di là dell'ardita ipotesi di far dimettere la seconda carica dello Stato per competere all'elezione del Governatore della Sicilia, per lunghe settimane non si sia delineato alcun piano alternativo". "Imputare a Grasso il risultato che si va profilando per il Pd, peraltro in linea con tutte le ultime competizioni amministrative e referendarie, è quindi una patetica scusa, utile solo ad impedire altre e più approfondite riflessioni, di carattere politico e non personalistico, in merito al bilancio della fase attuale e alle prospettive di quelle future". 

La quarta proiezione Piepoli per la Rai - su una copertura del 18% - vede il candidato del centrodestra Nello Musumeci in testa con il 36% delle preferenze (la coalizione che lo sostiene al 38,6). Seguono l'esponente del M5S Giancarlo Cancelleri al 34% (M5s al 27,2%), Fabrizio Micari con il 19,5% (la colazione che lo sostiene 25,9%) e Claudio Fava che si conferma al 9% e la Lista i Cento Passi al 7,3%.

Per la seconda proiezione sulle liste Piepoli e Noto per la Rai, basata su un campione del 27%, il Movimento 5 Stelle è al 28%. Per quanto riguarda la lista che sostiene Nello Musumeci, è data al 36,3% (Diventerà bellissima 5,3%, Fi 13% FI-Noi con Salvini 7,9 %, Udc 5,7%, Popolari e autonomisti-idea Sicilia 4,4%). Quanto alla lista che sostiene Fabrizio Micari è data al 27,9% (Pd 10,8%; Sicilia Futura-Pdr-Psi 7,6%; Micari presidente 4,5%; Ap-centristi per Micari 5,0%). La lista che sostiene Claudio Fava, I cento Passi per la Sicilia, è al 7,4%

Secondo il sondaggista, quella attuale "E' una proiezione equilibrata. Sono 72 punti di campionamento rappresentativi di tutto il territorio siciliano. Fino a questo punto, e con le proiezioni siamo al 10%, la vittoria di Musumeci è territoriale e quindi è molto probabile". 

Lo spoglio dei voti è iniziato alle 8. Ieri nell'Isola ieri dalle 8 alle 22 si sono recati alle urne per l'elezione del presidente della Regione e dei 70 deputati regionali, 2.179.474 elettori su 4.661.111, il 46,76% degli aventi diritto, mentre cinque anni fa avevano votato 2.203.165 persone. Solo in tre province su nove la percentuale è più alta rispetto al 2012: a Messina ha votato il 51,69% (51,24%), a Catania il 51,58% (51,09%) e a Palermo il 46,4 (46,28%).

Gli exit poll de La7 davano il candidato del centro destra Nello Musumeci avanti (6,5%-40,5%), ma a un'incollatura c'è Giancarlo Cancelleri del M5s (33,5-37,5). Il Pd crolla al 16-20%, Fava 6-9%.

A vincere è però "partito del non voto": solo il 46,76% ha votatoper l'elezione del presidente della Regione e dell'Assemblea, mentre il 53,23% ha disertato le urne. Rispetto al 2012 quando aveva votato il 47,41%, il dato dell'affluenza è in calo dello 0,65%.

"La cosa certa è che il governo è stato sfiduciato dall'80% dei siciliani. Ora scioglimento del Parlamento ed elezioni subito", dice il leader della Lega Matteo Salvini commentando gli exit poll in Sicilia.

"Se i risultati confermeranno gli exit poll di stasera ci troveremmo davanti a una sconfitta tanto annunciata da tempo quanto netta e indiscutibile", dice il coordinatore del Pd, Lorenzo Guerini.

Tra i dati più evidenti quello relativo al calo dell'affluenza al voto. Se il trend non si invertirà, sarà al di sotto di quella registrata cinque anni fa, quando a urne chiuse votò il 47,41% degli elettori, col "partito del non voto" che toccò quota 52,59%: ben oltre la metà degli elettori aventi diritto. 

L'AFFLUENZA

Si tratta dell'ultima tornata elettorale prima delle Politiche, l'ultimo test a disposizione di partiti e coalizioni per misurarsi su una legge non troppo lontana dal Rosatellum. In Sicilia la politica italiana si gioca molto e, da domani, i risultati del voto delle Regionali saranno strumento privilegiato per chi, nel Pd, nel centrodestra e anche nel M5S, aspiri a cambiare gli equilibri interni.

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FLOP SICILIA TERREMOTA PD, MA RENZI NON VUOLE RESA DEI CONTI

Anche se ampiamente previsto, non arriva attutito, dentro il Pd, il tonfo in Sicilia. Matteo Renzi ammette con i suoi «il disastro annunciato», convoca per il 13 la direzione, pronto a cercare un dialogo che eviti una resa dei conti interna esiziale per il Pd a pochi mesi dalle elezioni. Ma non capisce chi, come Andrea Orlando, usa il voto siculo per mettere in discussione la sua premiership: il tema, secondo l’ex premier, non è chi va a Palazzo Chigi ma che ci vada il Pd e per farlo con il Rosatellum serve una coalizione e non il candidato premier.

Da giorni al Nazareno il flop siculo era dato per certo e i veri timori, che secondo gli exit polls sarebbero scongiurati, erano sul quarto posto dopo Claudio Fava, il candidato con cui Mdp e la sinistra sperano di riscrivere i rapporti di forza dentro il centrosinistra. Alla «sfida gentile» di Fabrizio Micari non credeva di fatto più nessuno così come già il voto a Palermo aveva segnalato che il Pd in Sicilia continua ad arrancare. «Ma dove è la novità? - si difendono i renziani - la scorsa volta si è vinto con il 13 per cento del Pd, con l’11 dell’Udc e il 6 della sinistra di Crocetta e perchè la destra era divisa». Una lettura che sembra un pò assolutoria ma è in realtà mirata a sostenere che «siamo in partita se c'è una coalizione». E soprattutto ad evitare lo scontro interno e a convincere Dario Franceschini, Orlando e Michele Emiliano a non andare all’attacco del segretario condannando il Pd a sconfitta certa alle elezioni del 2018 a favore del centrodestra o di M5S.

I dirigenti del Pd, però, non sembrano intenzionati a fare sconti al leader. «La sconfitta è pesante ed è l’ultima di una serie di risultati presi sotto gamba», è l’analisi diffusa. Ora o Renzi dimostra di voler decidere insieme su tutto, a partire dalla definizione delle liste elettorali, e di impegnarsi davvero a costruire «senza veti» una coalizione o, come dice un big della minoranza, «parte il cinema». Sia Orlando sia Franceschini si intestano il cambio di passo di Renzi sull'ammissione della necessità di costruire una coalizione e ora pretendono che si tratti davvero sia con la nascente lista Pisapia-Verdi sia con i Radicali. Mentre nella direzione centrista l’ex premier si è già mosso autonomamente incontrando ieri Pier Ferdinando Casini. I big Pd non vorrebbero dare per perso fino all’ultimo anche un confronto con Mdp, ipotesi che Renzi vede remota «non per colpa sua», dicono i suoi.

Il leader è pronto, attraverso il coordinatore Lorenzo Guerini, ad aprire da domani il confronto con i possibili alleati. Mettendo sul piatto anche la disponibilità a primarie di coalizione se qualcuno le chiedesse. «Per il centrosinistra serve un nuovo inizio. Il Pd è pronto a confrontarsi senza veti con tutte le forze progressiste, europeiste, moderate, interessate a costruire unità e non divisione», ribadisce, ancora a urne aperte, Maurizio Martina. Un messaggio rivolto oltre ma soprattutto dentro il Pd per scongiurare un tutti contro tutti e per invitare i dem a concentrarsi sui veri rivali: i grillini, contro cui Renzi aprirà la sfida da martedì nel match tv con Luigi Di Mario, e il centrodestra. 

IL CENTRODESTRA VEDE LA VITTORIA - Il centrodestra vede la vittoria di Musumeci in Sicilia e questo basta per strappare un sorriso ai suoi leader: da Giorgia Meloni, la prima che ha investito sulla candidatura dell’ex sottosegretario al Lavoro che ha avuto poi il sostegno di Matteo Salvini, a Silvio Berlusconi. Una partenza a singhiozzo ma che alla fine, sono convinti, porta il risultato sperato: non solo la conquista della poltrona di governatore di una regione 'pesantè in termini di voti ma soprattutto la prospettiva che una coalizione unita possa vincere il prossimo appuntamento in agenda, le elezioni politiche delle 2018.
Certo, la 'convivenzà sta stretta a tutti e tre i leader, costretti soprattutto dalla legge elettorale a dover stare insieme per avere una chance di vittoria.

Uniti per forza nonostante le divergenze sul programma (ancora tutto da scrivere, come ripetete ad ogni occasione Salvini) e sulla leadership. E’ innegabile che il risultato siciliano abbia riportato al centro della scena Silvio Berlusconi. E l'intenzione dell’ex premier è proprio quella di massimizzare la visibilità ottenuta nella due giorni sicula per mandare un messaggio chiaro agli avversari ma anche in 'casà del centrodestra: il perno della coalizione continuo ad essere io, è il messaggio. Ma che sia ancora Berlusconi a dettare le carte è un’ipotesi che il segretario del Carroccio e la leader di Fdi non sono pronti ad accettare senza replica.

«Il leader sarà quello che prenderà più voti», continuano a ripetere tutti e la sfida è già iniziata. L’obiettivo del Cavaliere è riportare in auge il suo partito con una massiccia presenza in campagna elettorale replicando quanto avvenne nel 2013. Essere il partito più votato nel centrodestra gli garantisce la possibilità di esprimere il proprio candidato premier ma soprattutto poter far 'pesarè i suo voti in caso di stallo e di fronte all’ipotesi di un governo di larghe intese. Comunque sia, il rischio 'paralisì dopo le urne è uno scenario a cui si ci prepara da tempo ad Arcore.

L’idea di un governo di larghe intese con il Pd non è certo l’opzione a cui pensa invece Salvini. Il leader della Lega è convinto che sarà il suo partito ad avere più voti ed in questo senso è stato avviato il progetto di far uscire la Lega dal recinto delle regioni del Nord per renderla un partito nazionale. Non a caso il segretario del Carroccio ha trascorso l'ultima settimana di campagna elettorale battendo al tappeto la Sicilia. I progetti di Salvini sono poi all’antitesi rispetto al Cavaliere. Per l’ex capo del governo il nemico da battere è il M5s, mentre il segretario della Lega non esclude di poter avviare in futuro un dialogo con i pentastellati: «Se - ha spiegato ancora oggi - per far passare alcune leggi, dovessi chiedere il voto a qualcuno fuori dal nostro schieramento, lo chiederei ai grillini».

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