TRANI - Il 13 gennaio 2012 Standard & Poor's declassò l’Italia di due gradini (da A a BBB+) sulla base di un dato «sicuramente falso» relativo «all’ammontare del debito netto bancario estero» che fu inserito nel primo Research update e nel media release inviato al Mef e ai mercati. Gli imputati - manager e analisti di S&P - il 30 marzo scorso sono stati assolti dal Tribunale di Trani dall’accusa di manipolazione del mercato con la formula dubitativa, per mancanza del dolo, proprio con riferimento al doppio downgrade.
«Rimane il dubbio - spiega nelle motivazioni della sentenza il presidente Giulia Pavese - se ciò (l'inserimento del dato falso, ndr) sia avvenuto per mera negligenza e quindi per colpa o con la coscienza e volontà di diffondere al mercato una notizia falsa unitamente alla consapevolezza dell’idoneità di tale condotta a cagionare una 'sensibile alterazionè dei prezzi degli strumenti finanziari». Il dato sull'elevato debito bancario estero era uno dei due presupposti su cui poggiava la decisione del declassamento. L’altro era l’elevato debito pubblico estero che i giudici, nelle 332 pagine di motivazioni, hanno ritenuto elevato, ma non superiore alla media. «In assenza di quella errata e falsa informazione finanziaria, così come ritenuto dal Tribunale - spiega il pm di Trani, Michele Ruggiero - l’Italia non sarebbe stata retrocessa in serie B».
Per i giudici, il processo ha anche «confermato il "sospetto" che tutti gli interventi di S&P nei confronti dell’Italia» siano stati «connotati da sicuro pregiudizio verso l’Italia». Il pregiudizio - secondo il Tribunale - è stato riferito nel corso del processo «da esponenti qualificati del Tesoro e di Consob" perché tutti gli interventi di S&P - dal taglio dell’outlook del 21 maggio 2011 (per il quale gli imputati sono stati assolti con formula piena) al doppio declassamento del 13 gennaio 2012 - "sono stati adottati in arco temporale ristretto, con valutazioni diverse da quelle delle altre agenzie di rating e, peraltro, dopo che era stato risolto il rapporto contrattuale (di consulenza, ndr) di S&P con l’Italia».
Con la sentenza sono stati assolti quattro analisti - Yann Le Pallec, Eileen Zhang, Franklin Crawford Gill e Moritz Kraemer - e l’ex presidente mondiale di Standard & Poor's, Deven Sharma. Proprio Sharma - secondo il Tribunale - era «consapevole della inadeguatezza degli analisti del debito sovrano» dell’agenzia, circostanza questa che il processo ha evidenziato rilevando «i profili di incompetenza degli analisti e di quelli del debito sovrano in particolare: gli stessi profili di criticità evidenziati da Pierdicchi (all’epoca dei fatti AD di S&P Italia, ndr) a Sharma" in un’intercettazione telefonica nella quale dice che per gestire il rating dell’Italia c'è bisogno di persone più senior.
Nella sentenza i giudici si soffermano a lungo su Renato Panichi, responsabile per gli istituti di credito di S&P, che in una mail interna inviata ad alcuni analisti del rating poche ore prima del doppio downgrade dell’Italia critica i giudizi dei colleghi sull'affidabilità del sistema creditizio contestando loro di aver espresso giudizi contrari alla realtà sulle banche che, come detto, era uno dei due elementi principali su cui di basava il doppio downgrade. Sullo sfondo restano - secondo i giudici - gli «intrecci tra azionisti, manager, analisti, dirigenti del Tesoro, banche di affari e agenzie di rating» che sono emersi nel processo, ma che il dibattimento non ha "consentito di delinearne in maniera definitiva i confini proprio per la "reticenza" manifestata da alcuni testi».