BARI - Dal 1985 a oggi i lavori sono andati avanti alla strabiliante velocità di 300 metri all’anno. Ma in Puglia la pazienza non manca, e stavolta l’attesa potrebbe davvero essere finita. La galleria Pavoncelli bis, i 10 chilometri sotto l’Appennino che potrebbero risolvere il più atavico dei problemi idrici della regione, è davvero vicinissima al fatidico momento finale: a ottobre l’opera infinita potrebbe essere conclusa.
Mancano infatti 900 metri di galleria sotterranea per sfondare il diaframma che si trova in corrispondenza della discenderia di Vallata dei Laghi, in territorio di Avellino, realizzata prima della terza rescissione dell’appalto. La fresa, che negli scorsi mesi aveva avuto un guasto, ha ripreso a marciare con gli operai della Vianini, e non dovrebbero esserci altri intoppi.
La notizia arriva al momento giusto. La Pavoncelli bis, il cuore del Canale principale di Acquedotto Pugliese, è oggi il problema numero uno per la rete idrica pugliese. Dalle sorgenti irpine di Caposele e Cassano Irpino, attraverso l’acquedotto del Sele, arrivano in Puglia 153 milioni di metri cubi l’anno di acqua. La galleria Pavoncelli originale, realizzata agli inizi del ‘900 e gravemente danneggiata dal terremoto del 1980, è il tratto iniziale dell’acquedotto del Sele: dagli originali 6mila litri/secondo, ad un certo punto la portata si era ridotta a metà. Grazie ad una serie di costosissimi interventi di manutenzione, è stato evitato il crollo definitivo. Ma anche una ulteriore lieve scossa di terremoto, che nel cuore dell’Appennino è tutto fuorché improbabile, poteva essere letale: e l’interruzione della Pavoncelli lascerebbe senz’acqua quasi tutta la provincia di Bari, come avvenuto per tre lunghi mesi dopo la tragedia dell’Irpinia nel 1980.
La Pavoncelli bis corre parallela alla vecchia galleria, che è molto danneggiata ed ha perdite molto elevate: quando sarà pronta, consentirà di mettere in secco e manutenere la galleria originaria, così da eliminare i «fornelli» e le crepe. «La Pavoncelli bis - dice Fabiano Amati, che per la Regione svolge il ruolo di presidente della commissione di vigilanza sui lavori - rappresenta una nuova opera idraulica che non aumenta il prelievo in favore della Puglia ma riduce le perdite, ciò di cui c’è bisogno nell’Alta Irpinia dove servono notevoli investimenti infrastrutturali. Qui la risorsa idrica, in condizioni normali, appaga le esigenze di tutti così come ha fatto un secolo». Il presidente campano Vincenzo De Luca aveva detto che non c’è abbastanza acqua per tutti, e che dunque la Campania sarà costretta a ridurre i quantitativi destinati alla Puglia dalle sorgenti irpine: oggi arrivano circa 3.800 litri al secondo, contro i 5.200 dello stesso periodo dello scorso anno proprio a causa delle minori piogge dell’ultima stagione, e la Puglia ha comunque rinunciato a prelevare l’intera quota disponibile.
La storia della Pavoncelli bis, però, è soprattutto la storia di una grande incompiuta e di una quantità enorme di denaro pubblico sprecaro. In 32 anni (tanti ne sono passati dal primo appalto) sono stati già spesi quasi 150 milioni di euro (il costo iniziale era circa un quarto). La soluzione definitiva - quella attuale - è stata trovata nel 2012 grazie alla dichiarazione di stato di emergenza dei capi dipartimento alla Protezione Civile, Guido Bertolaso e Franco Gabrielli. Il commissario straordinario per la Pavoncelli, Roberto Sabatelli, potè infatti affidare l’appalto ad una Ati composta da Vianini, Ghella e Giuzio. Il quarto, dopo quelli vinti da Cogefar a fine anni ‘80, Pontello nel 1993 e Condotte nel 2006, tutti rescissi con un corollario di danni a carico delle casse pubbliche e senza mai risolvere il problema. Va ricordato che nel 2011 anche l’impresa Condotte era riuscita a ottenere un maxi-risarcimento da 38 milioni di euro attraverso il ricorso a un arbitrato nel quale ne aveva chiesti il doppio. A novembre 2011 la Corte d’appello di Roma ha però bloccato l’esecutività del lodo, evitando che l’impresa mettesse le mani sui soldi e impedisse il nuovo appalto (quello attuale): gli unici ad aver incassato, finora, sono gli arbitri.
I lodi, comunque, non hanno mai portato fortuna alla Pavoncelli. Basta vedere il lodo arbitrale vinto dalla Cogefar nel 1997, in combinato disposto con una frettolosa transazione da 36 miliardi di lire firmata dall’allora amministratore dell’Acquedotto, Lorenzo Pallesi. Nel 2001 anche quel lodo è stato annullato dalla Corte d’Appello, ma l’Aqp non ha mai rivisto i 19 milioni pagati nel 2007 per effetto di un decreto ingiuntivo dell’impresa. [m.s.]