di GIANLUIGI DE VITO
Ora che la conta venezuelana dei morti è salita a 51, gran parte della giornata barese degli emigrati tornati in Puglia sfila con lo sguardo inchiodato al telefonino. «Vivo col terrore della telefonata dal Venezuela dove ho tre fratelli, nipoti e anche pronipoti», dice Klara Dilauro a mezza bocca e con gli occhi bassi sullo schermo del cellulare.
Un mare di piombo, lacrimogeni e fame, il Venezuela che si sta ribellando al presidente Nicolás Maduro, eletto nel 2013 dopo la morte per cancro del carismatico Hugo Chávez.
Piovono notizie di scontri, saccheggi, violenze. E di una repressione militare che sta insanguinando negli ultimi giorni la regione di Tachira, ad Ovest del Paese. L’horror show, ricostruito dai venezuali di Bari, è fatto di bambini denutriti, anziani che si lasciano morire, famiglie intere che si spartiscono briciole di tutto. L’inflazione è all’800%, l’81% della popolazione è in povertà assoluta, il 93% non ha i soldi nemmeno per un pasto completo al giorno. Per il cibo, si fruga tra la spazzatura e si uccidono cani e gatti. Il razionamento della farina imposto ai panettieri scatena file e guerre davanti ai panifici. I farmaci? Solo al mercato nero.
Klara dà le ultime dei suoi: «Il biberon della mia nipotina non è mai pieno e l’unico barattolo di latte viene diluito con una dose maggiore di acqua. Ma questo è il minimo. Se vai a comprare qualcosa, ti viene venduta a patto però che accetti di schierarti con chi protesta. Il cibo serve alla resistenza, ti dicono. I farmaci li trovi solo negli ospedali. Ma scarseggiano. Arrivano di tanto in tanto solo quando un’organizzazione non governativa riesce a far atterrare qualche aereo umanitario».
Il governo e l’opposizione si accusano a vicenda: il governo accusa gli oppositori di aver «contrattato paramilitari colombiani» per seminare il caos; l’opposizione sostiene che sono i «colectivos», gruppi irregolari del chavismo, ad essere i colpevoli della violenza. Sta di fatto, che i venezuelani di Bari si sentono come pesci piccoli in una boccia avvelenata dall’impotenza. Klara, rientrata da Valencia nel 1978, barese, ha costituito con altri italovenezuali un comitato spontaneo. Che stasera, dalle 18, manifesta in piazza Prefettura. L’appello è chiaro: «Non sappiamo in che modo aiutare e salvare i nostri familiari. Non ci sono corridoi umanitari. Lì la chiamano la “valigia diplomatica”. Ne vorremmmo una. Ed è per questo che scendiamo in piazza in tutta Italia. Il sindaco della città metropolitanana Antonio Decaro deve dare una mano alle centinaia di famiglie baresi rientrate dal Venezuala, ma che hanno figli e parenti lì. Sono famiglie di Bari, Valenzano, Triggiano, Casamassima, Molfetta e di molti altri paesi limitrofi. E il presidente della Regione, Michele Emiliano, deve fare qualcosa. Il suo partito governa. Che parli con gli altri presidenti delle Regioni meridionali come l’Abruzzo, la Sicilia e la Campania, le regioni dalle quale proviene la maggior parte degli italovenezuelani».
Difficile fare una stima esatta degli italovenezuelani. I dati ufficiali parlano di 160mila con doppio passaporto: sono gli iscritti nelle liste elettorali. «Ma la maggioranza - spiega Klara - non ha doppia cittadinanza e considerando anche i discendenti arriviamo a tre milioni»