C’era una volta il Gran Ghetto e forse c’è ancora. Rieccolo risorgere dalle sue ceneri, come l’Araba fenice e nello stesso luogo in cui c’erano le ruspe della Regione non più di venti giorni fa. Si stanno ricostruendo le baracche, ma sono comparse anche roulotte e qualche auto dove trascorrere la notte. In tutto una cinquantina di persone che proprio non se ne vogliono andare. Chi è stato al ghetto negli ultimi giorni descrive un quadro in «piena evoluzione»: man mano che passano i giorni aumentano le auto. E i volontari che non hanno smesso di frequentare la zona non hanno difficoltà a rivedere in questo stato di precarietà stanziale le stesse condizioni che diedero vita al ghetto oltre vent’anni fa. Oltretutto un primo agglomerato di africani “residenti” non è mai andato via dall’area: occupano un podere abbandonato poco distante, sono sfuggiti o forse risparmiati allo sgombero.
Per qualche residente nella zona possono diventare il primo nucleo di ricostruzione del Gran Ghetto, quando arriveranno a frotte i lavoratori migranti per la raccolta del pomodoro. Il segretario della Cisl ha lanciato l’allarme durante il congresso del sindacato: «Se non si interviene ancora su quell’area, tra non molto e con l’avvicinarsi della raccolta del pomodoro sarà difficile impedire ai migranti di radunarsi ancora lì», ha detto Emilio Di Conza. Il sindacato punta l’indice anche su alcune presunte incongruenze emerse nel piano di sgombero attuato dalla Regione che, come si ricorderà, ha allestito un centro di accoglienza con 320 posti letto a Casa Sankara, a 12 chilometri dalla ex bidonville di Rignano, dove tuttora alloggiano alcune centinaia di migranti transfughi del Gran ghetto.
Solo che non sembra essere stata una buona idea quella di aver collocato sotto lo stesso tetto (sia pure in senso metaforico, visto che è stata allestita anche una tendopoli) cittadini maliani e senegalesi insieme, tra cui non corre buon sangue. Problema accentuato dal fatto che da oltre due anni la Regione ha affidato la gestione di Casa Sankara ad alcuni senegalesi.
Così quando c’è stato lo sgombero (1 marzo) la gran parte dei maliani sgomberati piuttosto che chiedere ospitalità ai senegalesi ha rifiutato un letto e un pasto caldo a Casa Sankara e si è rifugiato nelle baracche di borgo Mezzanone che già ospita un migliaio di migranti. ma come, si dirà, al ghetto la convivenza era possibile e ora no? Sì, ma ai tempi del gran ghetto, senegalesi e maliani erano alle estremità dell’accampamento, ognuno faceva la propria vita e aveva i propri traffici. Adesso col fiato sul collo della Regione è tutto più difficile.
[m.lev.]