ROMA - Il mestiere del viticoltore, che da tempo ha fatto il suo ingresso dietro le sbarre, grazie alla sensibilità di alcune carceri italiani, di aprirsi ad iniziative che ruotano attorno alla produzione di vini densi di significato. E ora, la vite ha fatto il suo ingresso anche Casa Circondariale «Carmelo Magli» di Taranto, dove, per i prossimi tre anni, insegnare un nuovo mestiere, quello del viticultore, per garantire un futuro migliore, è la possibilità offerta a 10 detenuti, in un progetto con le Cantine San Marzano.
Un nuovo progetto che «dimostra l’impegno della nostra cooperativa in campo sociale e il legame profondo con il proprio territorio e i pugliesi, anche quelli più sfortunati, per cui la cantina sente una responsabilità personale», spiega Francesco Cavallo, presidente di Cantine San Marzano, che hanno siglato l'accordo siglato con il direttore del carcere di Taranto, Stefania Baldassari, e il presidente del Centro di ricerca, sperimentazione e formazione in Agricoltura «Basile Caramia» di Locorotondo, Antonio Palmisano. Nel carcere di Taranto la coltivazione per la produzione di uva da vino interesserà i terreni agricoli adiacenti alle mura della struttura circondariale, attualmente non produttivi. Tale attività avverrà con l’utilizzo di pratiche agricole tradizionali e con un limitato ricorso alla meccanizzazione, grazie a un percorso formativo sulle attività vinicole per il successivo, e qualificato, inserimento lavorativo dei detenuti in un territorio a forte vocazione enologica. Le bottiglie così prodotte creeranno un’etichetta originale e saranno commercializzate da San Marzano. Un progetto inserito all’interno di un più ampio programma di attività che comprende anche una scuola di sartoria, un catering di cibi precotti e la coltivazione di un orto, finalizzato ad incrementare il tasso di rieducazione dei detenuti attraverso il lavoro penitenziario.