S’inaugura tra pochi giorni a Bari il nuovo ponte dell’asse Nord-Sud, la cui costruzione è appena terminata. Abbiamo chiesto al prof. Nicola Martinelli, docente del Politecnico di Bari, di raccontare le storie architettoniche dei ponti del mondo.
di Nicola Martinelli
Pont du Gard, costruito dai Romani in Provenza nel 17 a. C. e ponte Selim, il terzo sul Bosforo, che da qualche giorno Erdogan ha inaugurato a ridosso del Mar Nero. Sono numerosi gli aspetti che accomunano questi due ponti, pur così lontani temporalmente e geograficamente. Entrambi collegano due sponde, creando una continuità che supera un’antica frattura geografica. Sono opere di ingegneria dall’alto valore simbolico perchè mostrano attraverso l’arditezza tecnica, il livello dello sviluppo tecnologico raggiunto da un popolo. Ma allo stesso tempo sono grandi architetture caratterizzate da un indissolubile rapporto tra forma e costruzione, che determina una «necessarietà della forma» che nel disegno non lascia spazio al superfluo e a quanto non serve alla prestazione del manufatto. Last but not least un grande ponte si inserisce nel suo contesto geografico quale elemento di esaltazione delle caratteristiche del paesaggio; quel luogo dopo la costruzione del ponte non sarà più lo stesso. Il ponte, più d’altri interventi di trasformazione del territorio, costruisce un nuovo paesaggio nel quale si pone ad un tempo come grande landmark e come punto privilegiato di osservazione del contesto.
La storia dell’architettura dei ponti è raccontata da altrettanti monumenti legati alle città che li ospitano, la doppia fila di botteghe lungo i «ponti abitati» di Ponte Vecchio sull’Arno a Firenze (1345) o di Rialto (1551) sul Canal Grande a Venezia, secondo un progetto preferito alle due versioni presentate da Palladio. In età barocca, invece, i ponti diventano grandi elementi scenografici delle città europee, a Parigi sono complementari alle composizioni della Places Royales, mentre a Roma nel 1669 Clemente IX commissiona a Bernini un nuovo parapetto per il Ponte S. Angelo, sul quale vengono collocate dieci statue raffiguranti Angeli che portano gli strumenti della Passione, il punto più alto di questa idea del «ponte-museo» è l’intervento al Karluv Most di Praga sulla Moldava sul quale nel XVII secolo, vengono disposte 30 statue barocche lungo i 500 metri di parapetti in pietra. Nel XIX secolo con la scissione tra i processi formativi delle Ecole Polytechnique e dell’École des Beaux- Arts il ponte-infrastruttura diventa appannaggio degli ingegneri, si rafforza così la dimensione tecnica della progettazione in territori che con l’industrialesimo raggiungono dimensioni e infrastrutturazioni mai viste prima.
Nel 1779 nel grande arco dell’Iron bridge sul Severn in Inghilterra, la ghisa fa il suo ingresso come materiale da costruzione e avvia la stagione dei ponti metallici e a struttura mista, nella stessa fase in cui la nuova città borghese si dota di grandi coperture metalliche per stazioni ferroviarie, mercati, passages e spazi espositivi.
Bisognerà arrivare al 1927, con la costruzione in acciaio del Golden Gate nella baia di S. Francisco con 1.282 metri di luce e 230 di altezza, per consolidare la funzione di landmark del ponte; infatti, la lunghezza, il colore, l’altezza delle torri fanno del ponte rosso un elemento indelebile nel paesaggio e una nuova continuità visiva per chi lo percorre. La sua campata centrale è superata nel 1964 da un altro ponte americano, quello di Verrazzano sospeso a New York tra Staten Island e Brooklyn. I ponti-viadotto contemporanei sono, invece, grandi infrastrutture, «cerniere» di Corridoi Plurimodali (trasporto su gomma e su ferro) che uniscono tra loro paesi transfrontalieri, mettendo in contatto grandi aree di mercato. L’innovazione tecnologica che consente ponti sospesi con luci sempre più ampie e torri sempre più alte (322 metri nel ponte Selim sul Bosforo) si associa alla funzione di connettore tra contesti territoriali, sociali ed economici particolarmente competitivi.
Emblematica la vicenda del Ponte sull’Oresund tra Danimarca e Svezia, che nel 2000, in un contesto di grande valenza ambientale, associa alla elegante campata strallata di ben 490 m un tunnel e un’isola artificiale, facendo da spina dorsale alla Medicon Valley, cluster di 350 aziende e istituti di ricerca sulle scienze della vita, le università Danish Technical di Copenhagen e di Lund, gli aeroporti di Copenhagen e Maalmo.