ROMA - Dopo una recessione «lunga e profonda, senza più termini di paragone nella storia in cui l'Istat è stato testimone in questi 90 anni», l’Italia sperimenta «un primo, importante, momento di crescita persistente anche se a bassa intensità». Così il presidente dell’Istat Giorgio Alleva alla presentazione del rapporto annuale dell’istituto. «Rispetto ai precedenti episodi di espansione ciclica - ha aggiunto - la ripresa produttiva appare caratterizzata da una maggiore fragilità».
In Italia 2,2 milioni di famiglie vivono senza redditi da lavoro. Le famiglie «jobless» sono passate dal 9,4% del 2004 al 14,2% dell’anno scorso e nel Mezzogiorno raggiungono il 24,5%, quasi un nucleo su quattro. La quota scende all’8,2% al Nord e al 11,5% al Centro. L’incremento ha riguardato le famiglie giovani rispetto alle adulte: tra le prime l’incidenza è raddoppiata dal 6,7% al 13%, tra le seconde è passata dal 12,7% al 15,1%.
Mercato del lavoro incerto. Nel 2016 l’andamento dei prezzi "appare ancora molto debole» e quello del mercato del lavoro «è incerto». La ripresa dei consumi risulta insufficiente a bilanciare il calo dei prezzi energetici. Allo stesso tempo, il mercato del lavoro nei primi tre mesi 2016 mostra una sostanziale stabilità degli occupati. Le persone che vorrebbero lavorare ma che non hanno un impiego sono in Italia 6,5 milioni. «Il tasso di mancata partecipazione (che comprende disoccupati e inattivi disponibili a lavorare) scende dal 22,9% del 2014 al 22,5% ma è ancora molto sopra il livello medio Ue (12,7%). Sommando i disoccupati e le forze di lavoro potenziali, le persone che vorrebbero lavorare sono 6,5 milioni nel 2015», si legge.
I minori i più penalizzati. I minori sono i soggetti che hanno pagato il prezzo più elevato della crisi in termini di povertà e deprivazione, scontando un peggioramento della loro condizione relativa anche rispetto alle generazioni più anziane. L’incidenza di povertà relativa per i minori, che tra il 1997 e il 2011 aveva oscillato su valori attorno all’11-12%, ha raggiunto il 19% nel 2014. Al contrario, tra gli anziani - che nel 1997 presentavano un’incidenza di povertà di oltre 5 punti percentuali superiore a quella dei minori - si è osservato un progressivo miglioramento che è proseguito fino al 2014 quando l’incidenza tra gli anziani è di 10 punti percentuali inferiore a quella dei più giovani.
Per i minori il rischio di essere poveri è associato, in primo luogo, alla ripartizione geografica di residenza e al titolo di studio della persona di riferimento in famiglia. I minori del Mezzogiorno e quelli che vivono in famiglie con a capo una persona che ha al massimo la licenza elementare presentano, infatti - rileva l’Istat - un rischio di povertà relativa circa quattro volte superiore, rispettivamente, a quello dei residenti nel Nord e a coloro che vivono con una persona di riferimento almeno diplomata.
Il legame tra povertà e ripartizione geografica si è allentato nel tempo, anche per effetto della presenza di stranieri nel Nord. Lo stesso accade per il nesso con il titolo di studio della persona di riferimento. È tornata a essere determinante la possibilità di avere un’occupazione piuttosto che il tipo di occupazione come era invece avvenuto con l'emergere dei working poor, soprattutto negli anni pre-crisi. Ne deriva un aumento dell’associazione tra povertà e numero di disoccupati, soprattutto se il minore vive con almeno due persone in cerca di occupazione.