Lo ha stabilito ieri il Tar di Lecce con un’ordinanza che respinge il ricorso di due delle tre imprese coinvolte - Cantieri costruzioni cemento e Matarrese - contro la revoca fatta dall’Authority in autotutela. L’appalto da 46 milioni di euro, assegnato a novembre scorso, era stato tolto ai vincitori della gara perchè non avevano più i requisiti di regolarità contributiva e contestualmente riassegnato al secondo gruppo in graduatoria: Consorzio stabile Grandi lavori, Ottomano e Favellato.
uthority e queste ultime imprese avevano già concordato il da farsi. Era stato anche definito un cronoprogramma che prevedeva la consegna dei primi 900 metri di banchina a dicembre 2015 e gli altri 300 ad aprile 2016, quando è arrivato il ricorso al Tar degli esclusi. Il Tar ha prima emesso un decreto di sospensione, dopodichè ieri ha rigettato l’istanza di sospensiva. L’udienza di merito si terrà ora il 6 novembre «ma l’ordinanza - spiega Sergio Prete, presidente dell’Autorità portuale -, oltre ad essere di particolare rilevanza, anticipa già la sentenza. Dice che l’Authority ha agito giustamente nel revocare l’appalto».
Tra i primi a conoscere la notizia, i lavoratori di Taranto container terminal da giorni in presidio davanti alla sede dell’Authority, ieri interrotto. Il verdetto del Tar, infatti, consente di sbloccare subito il cantiere della banchina - mai partito ad un anno dalla formale aggiudicazione dei lavori - e di dare anche un segnale positivo a Tct ed Evergreen che, proprio a causa dei ritardi, avevano ridotto la loro operatività a Taranto. «Adesso bisogna arrivare al più presto al vertice alla presidenza del Consiglio con le parti firmatarie dell’accordo sul porto. Serve una nuova messa a punto degli impegni di ciascuno» commenta Prete. Vertice che potrebbe tenersi tra il 15 e il 16 prossimi con la presenza, all’esterno della sede dell’incontro, dei lavoratori portuali che andranno a Roma in pullman insieme ai sindacati.
Tornando all’ordinanza del Tar, i giudici, sul punto specifico della contribuzione, osservano che «l'impresa deve essere in regola con l'assolvimento degli obblighi previdenziali e assistenziali fin dalla presentazione dell'offerta e conservare tale stato per tutta la durata della procedura di aggiudicazione e del rapporto con la stazione appaltante».
Invece, osservano i giudici, «la posizione contributiva dell'aggiudicataria non risulta ininterrottamente regolare in quanto è certo che i Durc del 14.3.2014 e del 6.5.2014 non risultano regolari con riferimento ai versamenti di premi e accessori per gli anni 2013-2014, sicchè gli stessi legittitamente inficiano anche l'aggiudicazione definitiva». Questa «irregolarità», dice il Tar, è stata riscontrata al momento della dichiarazione prodotta in sede di partecipazione alla gara (23.1.2013), all’aggiudicazione (20.11.2013) e anche nel perfezionamento «della cessione del ramo d’azienda» (8.2.2014). Il cessionario o l'affittuario, rileva il Tar, possono essere ammessi all'aggiudicazione e alla stipulazione ma solo «previa verifica dei requisiti».
Infine «le cessioni di azienda e gli atti di scissione non hanno singolarmente effetto nei confronti delle stazioni appaltanti fino a che il cessionario o il soggetto risultante dall’avvenuta trasformazione non abbia documentato il possesso dei requisiti di qualificazione previsti». Perchè, conclude il Tar, «la sostituzione del cessionario al cedente non determina l’irrilevanza delle situazioni di irregolarità contributiva nella quale il cedente versava».