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«Salam aleikum». «Shalom alekhem». A Roma il rabbino va in moschea

 

Lunedì 13 Marzo 2006, 00:00

02 Febbraio 2016, 19:24

ROMA - «Salam aleikum», saluta il segretario del Centro Culturale Islamico di Roma, Abdullah Redouane, «shalom alekhem» risponde Riccardo Di Segni, rabbino capo della capitale. L'assonanza delle locuzioni - significano la pace sia con voi - tradisce la medesima origine etnica e culturale, quella che Di Segni, chiama una parentela tra antichi fratelli (o cugini), i figli dei due fratelli biblici figli di Abramo. Le piccole differenze linguistiche durano poco: al termine della prima, storica visita della comunità ebraica alla Grande Moschea di Roma, tra abbracci, sorrisi e pacche sulle spalle, un ebreo in arabo invocherà il musulmano «inshallah».
Una visita che conclude un lungo periodo di relazioni, contatti e scambi, e si preannuncia altrettanto intensa per un «cammino di pace». L' incontro romano ricalca il percorso già compiuto in Spagna e Francia dai rappresentanti delle comunità, a testimonianza di due mondi che, nati insieme e successivamente separatisi, lentamente si riavvicinano.
Ad accogliere Di Segni non c'era l'imam Mahmoud Sheweita, gravemente ammalato. Forse parteciperà alla visita in sinagoga, visto che Redouane ha accolto l'invito del rabbino capo a un prossimo incontro nel tempio del lungotevere.
A Monte Antenne, per il momento, Redouane, insieme con il rappresentante in Italia della Lega Musulmana Mondiale Mario Scialoja, ha mostrato a Di Segni ed al resto della delegazione ebraica il complesso della Grande Moschea e, toltisi le scarpe ed entrati nel luogo di preghiera, una copia del Corano e la «porta» su La Mecca. In un'atmosfera rilassata, davanti a un centinaio di giornalisti, fotografi e teleoperatori, i due si sono più volte stretti la mano e mostrati in atteggiamenti amichevoli. Nel suo discorso Di Segni, a capo di una comunità formatasi venti secoli fa nella capitale, ha accolto «l'antico fratello» offrendogli ogni indicazione per facilitarne l' integrazione. I problemi, allora come oggi, sono gli stessi: «la trasmissione dell'identità, l'educazione scolastica in rapporto con il sistema pubblico, l'insegnamento della religione e della lingua araba, la formazione delle guide spirituali, la tutela delle norme religiose, dalla giornate festive alla preghiera alle regole alimentari». Quelli che per i musulmani è oggi un nuovo problema per gli ebrei è una costante.
Islamofobia e l'antisemitismo sono facce diverse di una stessa medaglia dunque e, in questo senso, Redouane sottolinea che «le religioni devono essere momenti che uniscono e non dividono». Se «l'aiuto di Dio è salutare, l'impegno di ciascuno di noi è indispensabile», dice.
Il conflitto israelo-palestinese da qui sembra distante anni luce. Redouane evita accortamente l'argomento, Di Segni ne accenna soltanto. Se pace dev'essere, questa passa per il dialogo e la comprensione. Non a caso già nelle settimane scorse dal ghetto si era levata la condanna per le vignette satiriche pubblicate in Danimarca. Un gesto apprezzato a Monte Antenne. L'incontro di oggi non passa inosservato: «Si è trattato di un evento storico, di cui la nostra città, con le sue grandi tradizioni di dialogo e di pace, ma anche con il suo presente ha fatto da palcoscenico ideale», dice orgogliosamente il sindaco di Roma Walter Veltroni, che parla di speranza. «Oggi è stato costruito un nuovo capitolo che può rasserenare il mondo, tutti i governi, le istituzioni che devono dar voce alla pace», gli fa eco il presidente della Provincia di Roma, Enrico Gasbarra. E Piero Marrazzo, governatore del Lazio: «Gesto coraggioso, una tappa fondamentale per la convivenza civile e per il dialogo interreligioso».
Francesco De Filippo
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