Il 23 maggio del 1992, il boato con cui Cosa Nostra martirizzò Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, raggiunse ogni riposto angolo del Paese, rimbombò forte in aule e corridoi, riempì ogni spazio in cui vi fosse richiesta di giustizia e interrogò tutti. Era la guerra e bisognava operare una scelta. I migliori, quel giorno, scelsero. Una di loro, la barese Lia Sava, oggi è la prima donna procuratore generale di Palermo.
«Ero procuratore generale di Caltanissetta e ora sono stata nominata procuratore generale di Palermo. Questa è la storia».
E no, non sia modesta, lei la sta facendo la storia, anche sul piano della magistratura, perché è la prima volta di una donna a Palermo.
«Sì a Palermo sì, anche se voi, a Bari, avete un grandissimo procuratore generale donna che è Anna Maria Tosto».
Come si “illumina” questa strada che la porta, mercoledì scorso, a ricevere il voto unanime del Consiglio superiore della magistratura?
«Io sono barese, primo dato. Ho studiato al Flacco (storico liceo classico della città; ndr), mi sono laureata in Giurisprudenza all’Università “Aldo Moro” di Bari. Ho fatto l’uditorato a Bari e, come prima sede, sono stata pretore civile a Roma. In quel frangente ci furono le stragi e cominciai ad avvertire la necessità di occuparmi di penale».
La «necessità»?
«L’ho sentito come un obbligo morale. Sono andata prima alla Procura di Brindisi, applicata alla Direzione distrettuale antimafia di Lecce, ho lavorato con Cataldo Motta (pilastro della Dda leccese sin dalla sua creazione, di cui divenne procuratore; ndr). Poi Caselli (Gian Carlo Caselli divenne procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo nel gennaio ‘93; ndr) mi disse “vieni, prova a stare a Palermo per un po’”. E sono 24 anni che sto in Sicilia. Con Caselli ho iniziato a occuparmi di criminalità organizzata a 360 gradi, nei 15 anni a Palermo e poi, dieci anni fa, sono stata nominata procurato aggiunto a Caltanissetta e lì mi sono occupata delle stragi di Capaci e via D’amelio. Poi, come facente funzioni, mi sono occupata del caso di Silvana Saguto e gli altri (ex presidente della sezione Misure di prevenzione antimafia del Tribunale di Palermo, condannata in primo grado a 8 anni e 6 mesi; ndr). Da 4 anni, come procuratore generale a Caltanissetta ho fatto, in appello, i processi sulle stragi finalmente portandoli a conclusione. Diciamo che le stragi hanno cambiato la mia vita, perché facevo il giudice civile ma ho sentito, forte, il richiamo, il bisogno di lasciare il civile. Dovevo fare una scelta di campo, anche se ho pagato un prezzo a livello personale».
In che senso?
«Come donna. Consideri che sono anche madre, non è stato facile. Ho due figli, ma gli ultimi 10 anni io li passati vivendo in una caserma e li vedevo il sabato e domenica. Perché io vivevo a Caltanissetta, vivo in caserma, e loro erano a Palermo. Fortunatamente è andata bene perché sono ragazzi sani, forti, studiosissimi, universitari ormai. Insomma, hanno capito la scelta di vita un po’ particolare di una madre… in qualche misura l’hanno condivisa. Non è stato facilissimo, però… è andata!».
Oggi quel sacrificio è esemplare. Oggi una bambina del nostro Sud può sfogliare «La Gazzetta del Mezzogiorno» e vedere che si può fare, che una donna può essere procuratore generale di Palermo.
«Guardi, per me è una grande gioia parlare con lei. Per me La Gazzetta del Mezzogiorno “è” Bari. La Bari della mia infanzia, della mia adolescenza, degli anni del liceo Flacco al quale sono legatissima, anche come “idea”. Il luogo dell’anima per me è sicuramente Bari. Quante volte, negli anni molto intensi che vivo, il pensiero del Lungomare mi fa vibrare, mi dà un senso. E poi la tenacia che noi baresi abbiamo, la capacità di resistere, di saper governare anche i venti, perché la vita è tempesta e la lotta al crimine organizzato è essere nella tempesta e governare le vele. Mi piace pensare che la mia baresità mi ha aiutata a vivere nelle tempeste, oltre alla fede, perché sono profondamente credente. E la fede in Dio e il sapere che stai facendo cose per gli altri, per migliorare non dico il Sud ma, in generale, l’etica di un Paese, mi ha aiutata molto, ecco. Eppoi quando vengo a Bari sono molto felice perché vado a mangiare la fetta di focaccia, la pasta all’assassina, e rivedo gli amici di sempre, gli amici di una vita. Tutta una serie di sensibilità e percorsi nascono da un luogo come la scuola, come il Flacco, che assurge nella memoria a luogo mitico, e dalla nostra città».
Ma, come fonte di ispirazione, lei pensa alle luci o alle ombre di Bari?
«Credo che l’ispirazione nasce sempre dalla luce ma anche dall’ombra, perché quando la vedi e decidi che la vuoi combattere, annientare, aumentando il fascio di luce. A volte, anche l’ombra può aiutarti a migliorarti, perché capisci che devi renderla luce. Che poi è il percorso anche individuale di ognuno di noi: vedere l’ombra in noi stessi e fuori di noi e fare luce».
Cosa porterà in dote nel suo nuovo incarico?
«Io porterò il massimo impegno, la massima dedizione e l’esperienza di tanti anni di studio e lavoro. Esperienza. Molto umilmente, come la persona tenace e lavoratrice, quale credo di essere, porterò l’esperienza. Credo in tre parole: impegno, che deve essere massimo da parte di chi assume un ruolo di vertice; sinergia, perché devi lavorare con gli altri, con gli altri magistrati, con gli avvocati, col personale amministrativo, con la società civile; sperando di raggiungere un risultato. Impegno, sinergia e risultato. Io posso portare impegno e di questo sono certa. Sinergia cercherò sempre di realizzarla. E il risultato spero che venga. E mai come in questo momento storico dobbiamo sperare in quel risultato, perché quel risultato è anche la speranza del salto etico, ed è quello che dobbiamo fare nel nostro Paese».