«Presso il Policlinico di Bari era in corso l’attuazione di un programma di protezione ordinario dei rischi ambientali per la prevenzione e il controllo della legionellosi», con attività di «flussaggio dei serbatoi di acqua calda, verifica del funzionamento delle pompe dosatrici delle centraline antilegionella, fornitura dei prodotti di trattamento sanificante, pulizia e sanificazione periodica del boiler e delle cisterne di accumulo, trattamento con perossido di idrogeno e ioni argento». E’ un passaggio del provvedimento con il quale i giudici del Tribunale del Riesame di Bari ieri hanno annullato le interdizioni disposte nei confronti dei dirigenti del Policlinico di Bari coinvolti nell’inchiesta su quattro decessi per legionella e accusati di non aver fatto la bonifica negli impianti idrici dei reparti infetti.
«Le risultanze investigative - scrivono i giudici - restituiscono l’esistenza di un’attività articolata, molteplice e multiforme avviata dalla direzione sanitaria, alla quale non è sicuramente ragionevole muovere un rimprovero di inattività e inoperosità, ma al più potrebbe astrattamente ascriversi un atteggiamento attendista il quale, se potrebbe per ipotesi rilevare sul fronte della prevedibilità, senz'altro non rileverebbe sul versante della esigibilità». Ma, del resto, evidenzia il Riesame, «non appare ragionevole affermare la sussistenza della prevedibilità ed evitabilità degli eventi naturalistici contestati», perché «in atti manca una consulenza tecnica in grado di sostenere che un intervento correttivo più aggressivo avrebbe assicurato la sopravvivenza dei deceduti».
Contrariamente a quanto assunto dei pubblici ministeri condiviso dal gip del Tribunale di Bari, secondo il Riesame «per nessuno dei decessi contestati è possibile ritenere, neppure a livello di gravità indiziaria, che la legionella sia stata causa o concausa della morte dei degenti o comunque che la stessa sia stata contratta all’interno del Policlinico di Bari».
Il Riesame spiega che «le attuali risultanze investigative non consentono di ritenere sufficientemente provato il nesso eziologico tra l’infezione da legionella, e la sua contrazione in ospedale, e la morte dei quattro pazienti».
Inoltre i giudici evidenziano che «la letteratura scientifica e i dati statistici, non soltanto nazionali ma anche relativi ad altre strutture esistenti in Europa, assicurano che non esiste un sistema chimico o farmacologico in grado di garantire che l'acqua degli ospedali possa essere priva della legionella. Da tali considerazioni deriva dunque che la decisione dei giudici non può fondarsi sul mero rinvio alle linee guida, che non contemplano e non valutano dette circostanze e che, proprio perché elaborate in via astratta, non possono esaurire tutte le situazioni concrete». «Ove a ciò si aggiunga - concludono - che non vi è certezza sull'effetto salvifico della condotta omessa per via dell’ineliminabile possibilità di contrarre l’infezione a causa del carattere ubiquitario dell’agente infettivo legionella, non si potrebbe dire accertato il nesso causale».