Guido Crosetto, ex sottosegretario, presidente della Federazione Aziende Italiane per l'Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza, soprannominato «il Gigante» per aver fondato nel 2012 Fratelli d’Italia con la «bambina» Giorgia Meloni, non crede alle maggioranze modello «assembramento» e nell’anniversario della morte del leader della destra di governo, Giuseppe Tatarella, ritiene che quell’eredità politica sia declinata nella maniera migliore dalla fiamma meloniana.
Onorevole Crosetto, c’è chi descrive Giorgia Meloni nuova «regina» dell’opposizione contro il «drago» Draghi. In rete ci sono già i meme. È questa la prospettiva per Fdi?
«Questa ricostruzione non mi convince. La Meloni non ha opposto le sue perplessità alla figura di Draghi, ma all’andare al governo con Pd, Leu e 5S. Rileva l’incompatibilità delle sue idee con partiti che hanno visioni opposte su temi cruciali. Su Draghi, come persona e tecnico, non esiste da parte della Meloni alcun preconcetto, anzi».
È stato uno dei primi a parlare di possibile governo istituzionale, aggiungendo la postilla che la «ispira poco». Perché?
«Il problema è che questa formula deve essere sorretta da una maggioranza parlamentare. Ma quando chi va a sostenere Draghi parte dalle differenze con gli altri e pone punti irrinunciabili senza uno sguardo d’insieme, è difficile costruire un progetto coeso. Certi percorsi presuppongono senso delle istituzioni e dello stato, e - in tutta franchezza - l’attuale parlamento non mi sembra possedere tutta questa sensibilità. È frizzante e giovane rispetto ai parlamenti che ho conosciuto ma sul piano della preparazione e della serietà ho visto legislature molto più solide».
Sui temi del reddito di cittadinanza, dell’immigrazione, sul blocco-sblocco dei licenziamenti come si distingueno un governo istituzionale e una opposizione patriottica?
«L’opposizione è più facile, osserva gli atti e può avversarli o cercare di migliorarli. Il problema è dell’esecutivo che dovrà mettere insieme le peculiarità di Draghi con le tesi degli altri partiti. Basta pensare a due temi a caso».
Quali?
«Al rinnovo dei contratti per i navigator e o alla scadenza di quota 100 a fine anno, per citarne 2 su 1000. Nel merito, per esempio, la Meloni ha votato in passato contro il RdC».
Sulla fiducia all’ex presidente della Bce Salvini voterà con Giorgetti a favore, la Meloni contro. Il derby dei sovranisti mette fine al centrodestra come lo abbiamo conosciuto finora?
«No. Il centrodestra esiste perché se si andasse ad elezioni si ritroverebbe su un programma unitario, riuscirebbe a governare avendo intese e visione. Ora ci si divide su una scelta strategica».
Sull’ingresso nel governo...
«La Lega ha fatto già un passo solitario con il governo gialloverde realizzato insieme ai 5S, Fi aveva appoggiato il governo Letta. Fdi rifugge da questi ibridi e ritiene la coerenza una parte fondante e centrale della sua credibilità e quindi prosegue sulla stessa linea».
La presidenza del partito dei conservatori in Europa per la Meloni rappresenta la polizza contro ogni tentazione di relegarla ai margini di un nuovo arco costituzionale?
«Non ha bisogno di polizze. La sua forza e la sua centralità è nelle parole, nei programmi e nella sua storia personale e politica».
Negli equilibri europei…
«Non ha nulla da farsi perdonare nel giudizio sull’Europa, è stata critica ma non ha mai messo in dubbio l’Unione. Ha detto di volerla cambiare. I conservatori hanno un profilo istituzionale che deriva dalla storia di questa tradizione politica nel mondo. La Meloni è presidente di 44 partiti e nessuno di questi governa con i progressisti…».
Al mondo produttivo però la stabilità che potrebbe assicurare l’esecutivo Draghi piace…
«Assolutamente e se il governo farà bene, i primi a essere contenti saranno Fdi e la Meloni. Nessuno godrà per un fallimento: le nostre perplessità sono su come si terrà insieme una squadra di governo così diversa nelle idee. L’Italia viene prima di qualunque ragione di partito».
Il Recovery alimenta al Sud l’aspettativa di una modernizzazione infrastrutturale. Le piacerebbe una autostrada che in Puglia arrivasse a Lecce passando anche dalla «sua» Ostuni?
«Sono convinto che il Mezzogiorno debba ottenere lo stesso livello di investimenti infrastrutturali che ha avuto una parte del Nord, ma deve pretendere le infrastrutture del futuro, soprattutto quelle digitali, la rete… In Valle d’Itria non prendono i telefonini… Il digitale nel futuro costruirà metà della ricchezza che verrà. La rete digitale arriva prima di quella infrastrutturale e può dare chance alle parti più povere dell’Italia».
Quali le condizioni essenziali per non sprecare l'occasione del Recovery fund?
«Cambiare innanzi tutto le regole burocratiche e parte della burocrazia. Con queste norme, il fisco e la giustizia che abbiamo, si rischia davvero di perdere parte delle risorse Ue. Draghi non ha poteri magici e purtroppo dovrà provare a fare fuoco con la legna che si ritrova sotto».
Ricorreva ieri l'anniversario della morte di Giuseppe Tatarella, icona della destra di governo. Molti si chiedono cosa avrebbe fatto il «vicerè delle Puglie» in una fase così delicata come l'attuale e dove avrebbe traghettato la comunità della destra italiana. Che ne pensa?
«Me lo sono domandato anche io. E ho chiesto lumi a chi conosceva meglio di me Pinuccio. Forse avrebbe fatto come Fdi: una scelta di coscienza e lungimiranza, per l’interesse nazionale e della sua Puglia».
L’ultima battuta: da quanto manca in Puglia, regione il cui colore arancione è «gradito»” dal governatore Michele Emiliano e dall’assessore alla Salute Pier Luigi Lopalco?
«Con mia moglie manchiamo da Ostuni da settembre: volevamo tornare ma non si può. La speranza è che i parametri migliorino. Finché non decolla la campagna vaccinale e non comprano i vaccini, si potrà fare poco».