Covid 19, la Regione Puglia potenzia il trasporto scolastico
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L'intervista
Leonardo Petrocelli
13 Gennaio 2021
Onorevole Ubaldo Pagano, deputato pugliese del Partito democratico, come valuta la nuova bozza del Recovery Plan presentata dal Governo?
«Sicuramente il piano è cambiato in meglio, ci sono modifiche che lo hanno reso più stringente. Di fatto è stata una naturale evoluzione che continuerà in Parlamento dove intendiamo dire la nostra».
Dove si può ancora intervenire in senso migliorativo?
«Le risorse destinate a politiche di coesione, fra cui rientrano le Regioni meridionali, sono cresciute oltre il 50%: ora bisogna capire come declinarle nel concreto e come eventualmente farle aumentare ancora».
Si tratta di una struttura a due teste: i fondi del Recovery e quelli di Coesione. Si rischia una deriva centralista?
«Le Regioni sono state ascoltate per mettere a fuoco le priorità del Piano nazionale, su questo chi parla di deriva centralista produce una falsa narrazione. Certo bisognerà vedere cosa accade rispetto ai fondi di Coesione destinati per l’80% alle Regioni del Sud e su cui occorrerà vigilare affinché gli Enti Territoriali non vengano esautorati».
Restiamo sui numeri. All’inizio si era parlato di un 34% di risorse destinate al Sud. Poi, la pubblicistica meridionalista più accesa ha iniziato a battagliare addirittura per il 70%. In questa guerra di cifre lei dove si colloca?
«Non sono abituato a gettare numeri sul tavolo ma a ragionare nel merito. Questo 70% su cosa dobbiamo calcolarlo? Se si tratta di risorse a fondo perduto ha una sua reale ragion d’essere. Se invece lo carichiamo sui prestiti è diverso perché è evidente che non si potrà sostituire ulteriore spesa pubblica, ma bisognerà coprire spese già preventivate dallo Stato, altrimenti si rischia di far crescere smisuratamente il debito pubblico. Così non faremmo gli interessi del Sud. E poi c’è un’altra questione di carattere generale: in passato ci si è concentrati troppo spesso sull’ammontare di risorse per il Sud senza poi preoccuparsi di monitorare l’effettiva realizzazione dei progetti. Su questo sarà fondamentale vigilare»
Se queste sono le premesse, mettiamo a fuoco i contenuti. Quali sono le priorità per il Mezzogiorno e la Puglia in particolare?
«I dati ci confermano che la spesa per investimenti strategici, come quella che si sta pensando di fare per il Superbonus 110%, ha un ritorno notevole. Soprattutto in una regione come la Puglia che è in testa fra quelle che hanno avviato questo tipo di pratiche. I vantaggi sono molti, dal rimettersi in moto dell’economia alla valorizzazione di un patrimonio immobiliare spesso antico e privo di efficienza».
Alziamo lo sguardo: quanto alle politiche generali?
«È essenziale sviluppare una politica virtuosa sull’efficientamento energetico e ambientale. Un grande snodo in cui si si innesta tutta la partita di Taranto con il sindaco che, ne siamo lieti, ha recentemente riconosciuto tutta l’attenzione da noi dedicata al piano di transizione nel ciclo produttivo dello stabilimento. Poi c’è tutto il tema dell’infrastrutturazione per collegare il Sud ai corridoi europei di sviluppo. È inimmaginabile che non si completino le linee di Alta Velocità e Alta Capacità, da quella adriatica alla Bari-Napoli fino alla Taranto-Battipaglia. Infine il capitale umano: scuola, università, centri di ricerca, potenziamenti degli asili nido. L’attenzione di questo Governo alla questione meridionale, come testimonia il piano per il Sud 2030, è stata sicuramente in controtendenza rispetto al passato. E forse molti protagonisti del passato farebbero bene a riconoscerlo visti i risultati raggiunti quando ne avevano la responsabilità».
Anche la definizione del Piano italiano però «soffre» i venti di crisi che soffiano sul Governo. Che idea si è fatto dell’azione di «disturbo» di Renzi e dei suoi?
«Penso che Italia viva e il suo leader si siano infilati in un vicolo cieco. È uno di quei classici giochi al rialzo sui cui ci si concentra per riacquistare centralità politica: legittimo in tempi ordinari, meno nel mezzo di una pandemia e di una serie di trattative cruciali, come quella sul Recovery, da cui dipende il futuro del Paese».
E tutto questo dove porta?
«Ci sono intere categorie alla canna del gas. Dobbiamo approvare i nuovi scostamenti di Bilancio e nuovi Ristori. Bisogna correre. Continuare a litigare e a disturbare l’azione dell’esecutivo non può che alimentare la rabbia della gente. Rabbia che, negli Usa, è sfociata nell’assalto al Campidoglio e qui si risolverebbe in un ulteriore discredito sulla classe dirigente».
Ma oltre la crisi cosa c’è? Un Governo di unità nazionale?
«In Parlamento non ci sono i numeri per un governo di unità nazionale».
Non lo vorreste?
«Di sicuro non lo vorrebbe il centrodestra che non ha mai avuto a cuore il caricarsi di responsabilità per gestire la crisi. È evidente che spingeranno forsennatamente sulle elezioni per capitalizzare un momento di crisi. Questo a meno che Renzi non abbia deciso di diventare la quinta colonna della destra ma non penso che ai conservatori andrebbe bene».
Alla fine resta il voto.
«Sì, il voto in piena pandemia. Per questo quanto sta accadendo in questi giorni non ha connessione con la realtà. Quale Governo nel frattempo si assumerebbe la responsabilità di fare nuovo debito pubblico per dare nuovi ristori alle categorie colpite?».
Il Pd più che un rimpasto chiede un «tagliando». Che significa?
«Significa non una bagarre su nomi e poltrone, ma un nuovo slancio nell’azione di Governo».
Lei cosa correggerebbe?
«Serve una maggiore collegialità rispetto agli obiettivi: individuarli e definire percorsi con puntualità evitando che vengano messi in discussione al primo capriccio. E poi ci vuole più coraggio sulle riforme di sistema: giustizia, ammortizzatori sociali aperti anche al variegato mondo delle professioni e delle partite Iva, pubblica amministrazione che non sia sinonimo di burocrazia».
Infine, qualunque sia l’esito della crisi, l’alleanza Pd-M5S continuerà anche in futuro?
«Abbiamo lavorato abbastanza bene in una condizione molto difficile. Partivamo da punti di vista differenti, ora bisogna capire cosa vorranno fare in futuro: si sono resi conto che la differenza tra il gridare e il governare è enorme. Se dovessero continuare sulla strada intrapresa la collaborazione sarà nei fatti».
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