Professor Alessandro De Nicola, economista liberale, avvocato e presidente della Adam Smith Society, che Italia è quella che si presenta all’appuntamento con i fondi europei del Recovery?
«È un’Italia in grave difficoltà ma soprattutto priva di un progetto di sviluppo. Ogni Paese ha un’idea di dove andare a parare, magari non condivisibile, ma ce l’ha. Noi invece brancoliamo in una gestione quotidiana attenta soprattutto a soddisfare interessi elettorali».
Si riferisce alle «toppe» messe con i vari decreti in questi mesi? Eppure molti le direbbero che non c’era altra scelta se non squadernare una serie di politiche difensive.
«L’ultima legge di Bilancio è una sorta di collage di sussidi di ogni tipo, dalla rubinetteria ai telefoni. Pensare che il superbonus del 110% sia una specie di New Deal rooseveltiano significa non avere chiaro il quadro».
Con il Recovery il Governo promette un cambio di passo. Ha letto la bozza del Piano?
«Ci sono una serie di buone idee estratte dal lavoro di precedenti commissioni e appiccicate qua e là. Purtroppo, non c’è da nessuna parte un’analisi costi benefici né un’analisi dell’effetto moltiplicatore: eppure, sarebbero le due cose più importanti».
Si spieghi.
«Esempio: tutti bravi a dire facciamo l’alta velocità da X a Y. I cittadini delle due città ne sarebbero entusiasti, non c’è dubbio, ma poi bisogna capire quali saranno gli effetti concreti sul territorio. Magari si sbaglia comunque ma una visione nel medio e lungo periodo è necessaria».
Capitolo Sud: il ministro Giuseppe Provenzano ha suggerito di destinare al Mezzogiorno il 34% delle risorse ma c’è chi spinge, in osservanza dei criteri europei, per il 70%. Che idea si è fatto di questo dibattito?
«L’idea è una sola: il punto non sono le percentuali. Al contrario, fissare una quota potrebbe essere perfino limitante per quanto alta essa possa essere. Mi ripeto il punto sono i progetti e il loro moltiplicatore: idee ben pensate possono motivare un afflusso di risorse verso Sud anche del 40, 50 o 70%. Ma conta il merito».
Di fatto il Mezzogiorno di cosa avrebbe bisogno?
«Il problema del Sud è nella infrastruttura istituzionale, nella governance della pubblica amministrazione: sanità, scuola, sicurezza. Bisogna creare le premesse perché forze sane possano liberarsi. Diversamente non può esserci sviluppo. Buttare i soldi dalla finestra, con i soliti finanziamenti a pioggia, non solo è inutile ma è dannoso».
Intanto è già partita la corsa delle Regioni con valanghe di progetti da finanziare.
«Spero ci sarà una selezione non clientelare e non distorta da ragioni puramente elettorali ma che, appunto, guardi al valore dei progetti proposti. L’unica strada è quella».
C’è chi dice che moriremo di parole d’ordine: rivoluzione verde, innovazione, parità di genere.
«Molte di queste sono indicazioni europee e come tali vanno seguite. Però dobbiamo intenderci. Rivoluzione verde? Bene, se vuol dire mettere in sicurezza l’assetto idrogeologico del Paese o finanziare la ricerca per le energie rinnovabili allora d’accordo, è una spesa intelligente. Se invece significa bonus monopattini o denari per quelle inutili piste ciclabili allora è davvero uno spreco senza ritorno. Lo stesso per la parità di genere: asili nido, potenziamento dell’assistenza agli anziani, politiche per stimolare l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro sono ottime iniziative. Lo sono meno i bonus per l’impresa al femminile».
Chiudiamo sulla Sanità: la maggioranza che dice no al Mes stanzia, per il settore, appena 9 miliardi. Un controsenso?
«Uno dei tanti, l’ennesimo. Anche perché il Mes consente di accedere ai fondi a un tasso di interesse minore rispetto a quello con cui ci indebitiamo. Oggi i nostri tassi sono bassissimi ma quando verrà meno l’aiuto eccezionale della Bce riprenderanno a crescere».
Il problema è più che altro politico: il M5S e il centrodestra si sono messi di traverso.
«Ed è incomprensibile soprattutto perché si tratta di forze politiche che dicono sì al Recovery. Quest’ultimo, in realtà, ha molte più condizionalità di un Mes che semplicemente obbliga a spendere quei soldi in ambito sanitario. Stop. Il Recovery, invece, è appesantito dalle direttive della Commissione, dalla scaletta di priorità, dagli studi di efficienza. Sa qual è il problema? »
Quale?
«Che spesso, troppo spesso, si parla senza sapere di cosa si sta discutendo».