PARIGI - La frontiera è la decarbonizzazione: imposta dai trattati internazionali, sollecitata dai disastri provocati dai cambiamenti climatici, suggerita dalle nuove tecnologie. Ma, per fare l'acciaio utilizzando poco carbone, occorrono politiche governative di sostegno e l'armonizzazione dei sistemi di controllo alle frontiere per evitare che l'acciaio decarbonizzato - che avrà un costo anche del 30% superiore a quello realizzato con la tecnologia tradizionale - venga messo fuori mercato da quello proveniente da nazioni meno attente - per usare un eufemismo - alla tutela dell'ambiente.
ArcelorMittal sceglie il media day di Parigi per presentare i suoi progetti sullo stabilimento siderurgico di Taranto - la più grande acciaieria a ciclo integrale d'Europa - e lanciare la sua sfida ambientale e produttiva allo stesso tempo. Certo, i tempi non saranno brevissimi (il termine per abbattere dell'80 per cento le emissioni da uso di carbone è quello del 2050) ma ci saranno step intermedi (-40% nel 2030) che aprono spiragli importanti anche e soprattutto per lo stabilimento tarantino, a patto, è stato ribadito, che ci siano incentivi pubblici alla decarbonizzazione, coerenti con la difficile sfida tecnologica ad esso legata. Una sfida che ora tocca alle istituzioni - la Regione Puglia da tempo si batte per la decarbonizzazione - cogliere.
Dinanzi ai giornalisti provenienti da tutta Europa, Matthieu Jehl, amministratore delegato di ArcelorMittal Italia, ha presentato i programmi per il sito di Taranto, gestito dalla multinazionale dell'acciaio dallo scorso 1 novembre, a seguito del contratto di fitto biennale finalizzato all'acquisto sottoscritto con il Governo e divenuto operativo dopo l'accordo siglato con i sindacati al Mise il 6 settembre.
«Stiamo lavorando per costruire un domani sostenibile per l'acciaio italiano, puntando su sostenibilità e reputazione, in particolare per l'ambiente, la salute e la sicurezza, la ricerca, con un investimento complessivo di 2 miliardi e 400 milioni di euro, con oltre un miliardo dedicato all'ambiente. Completeremo la copertura dei parchi dei minerali di ferro entro la fine di dicembre del 2019, 22 mesi prima della scadenza prevista dal piano ambientale con un investimento di 300 milioni di euro; la copertura dei depositi di carbone e coke sarà ultimata entro la fine di maggio 2020, 17 mesi prima del previsto. In anticipo sarà completata anche la depolverizzazione dell'impianto di sinterizzazione, usando la tecnologia con filtri ibridi con una spesa di 35 milioni di euro, e il trattamento dei gas di cokeria, con praticamente il rifacimento di tutto il reparto, con una spesa di 200 milioni di euro. Costruiremo inoltre un nuovo impianto per il trattamento delle acque reflue, applicando la tecnologia per la quale abbiamo depositato un nostro brevetto con uno stanziamento di 167 milioni di euro: investimenti che faranno di ArcelorMittal Italia sarà un punto di riferimento globale nel settore dell'acciaio. La decarbonizzazione a Taranto? La policy del gruppo è quello di andare in quella direzione, è evidente quindi che anche lo stabilimento di Taranto sarà interessato dalle nuove tecnologie per la produzione di acciaio anche se ora non sono nelle condizioni di indicare una data».
Jehl ha confermato che nel 2019 l'obiettivo è quello di produrre 6 milioni di tonnellate di acciaio, quota che non veniva toccata da quattro anni. «Lo stabilimento di Taranto - ha spiegato Jehl - perde 20-25 milioni di euro al mese e noi investiamo mezzo milione di euro al giorno per rispettare il piano ambientale più ambizioso di sempre: è evidente che puntiamo a invertire quanto prima la tendenza per renderlo profittevole perché il potenziale è enorme e perché un impianto che non è profittevole non può avere futuro».
Il 2019 sarà anche l'anno del lancio del centro ricerche con il reclutamento di 15 persone entro marzo e altre 12 persone dopo le vacanze estive. Si iniziare inoltre a sviluppare la rete con le scuole di ingegneria e le università italiane. Acciaio, ambiente ma anche cultura: a gennaio sarà formalizzata una partnership con la Soprintendenza ai beni culturali di Taranto e le Università per utilizzare una postazione all'interno dello stabilimento di Taranto per esaminare e stoccare - per obiettivi di ricerca - le rovine dell'acquedotto romano del Triglio vicino al siderurgico che è crollato a novembre.