«La performance dal vivo è il valore aggiunto per le esibizioni a Sanremo: le prove quest'anno sono partite dopo le feste di Natale, a Roma, poi dal 22 ci siamo spostati tutti in Liguria, fino all'inizio del Festival». Tarcisio Molinaro, batterista e percussionista, calabrese ma «pugliese» d'adozione (ha collezionato una serie di esperienze in Puglia) racconta alla «Gazzetta» cosa significa far parte di una delle orchestre più «osservate» d'Italia, quella che accompagna i Big e le Nuove Proposte nella settimana della kermesse. Molinaro ne fa parte dal 2021, da quell'anno in piena pandemia in cui il teatro era vuoto e gli spostamenti difficili. «La prima esperienza è stata un po' traumatica - confessa - contatti inesistenti, controlli di ogni tipo, uno stress importante». Oggi è qui, però, per raccontare la sua rivincita, visto anche un percorso personale che l'ha portato a sconfiggere un brutto male.
Cominciamo da lei, come si è avvicinato alla musica?
«Fin da quando avevo dieci anni ho iniziato con gli strumenti a percussione, anche se il mio esordio nella banda del paese fu con il sassofono, per poi proseguire con il tamburo e le percussioni dove ho proseguito anche in Puglia. Del resto si sa che le bande pugliesi sono un'eccellenza, con le feste patronali. A 15 anni mi innamoro della batteria, e si apre tutto lo scenario che ha costruito la mia carriera».
Un cammino che passa da da due diplomi nel conservatorio «Piccinni» di Bari: che ricordi ha della città e degli insegnamenti «pugliesi»?
«È una storia abbastanza anomala: dopo aver tentato per tre volte l'ammissione al Conservatorio di Cosenza, un po' per congiunzione astrale, un po' per determinazione, un conoscente che lavorava al "Piccinni" mi fece fare un'audizione, da dove uscì fuori che avevo grandi qualità, e anche quando ne ho avuto la possibilità ho deciso comunque di rimanere a Bari, posto che mi aveva dato una chance. Tra l'altro parallelamente ho frequentato l'università, è stato un cammino intenso ma ci tenevo a portare avanti tutti i progetti. Bari mi ha accolto per otto anni, c'era tanto movimento culturale, vivacità. Dopodiché sono stato altri sei anni a Rodi Garganico, altra bellissima esperienza, tanto che considero la Puglia la mia seconda regione di appartenenza e prima di crescita artistica. Ho conosciuto persone splendide che oggi sono colleghi e grandi professionisti».
Ha sempre viaggiato anche sul binario parallelo dell’insegnamento: che traccia lascia ai suoi studenti, cosa spera di trasmettere loro?
«Io volevo solo suonare, non ci pensavo minimamente: poi sono partito dalle scuole private in Calabria, una piccola parentesi alle medie a indirizzo musicale, per poi finire a diventare il più giovane docente d'Italia in Percussioni, a 31 anni. E questa attività didattica la porto avanti tuttora, era un po' la mia rivincita tornare in quel conservatorio per cui non ero stato idoneo. Un cerchio che finalmente si è chiuso».
Tra le sue collaborazioni c’è tanta musica pop e rock con nomi di primissimo livello, da Anna Oxa a Mariella Nava, da Antonella Ruggiero ai Baustelle: come ha intrapreso questa strada?
«Ho sempre fatto della versatilità il mio punto di forza: sono partito dalla musica classica in orchestra delle bande, poi mi sono spostato sul pop-rock. La collaborazione con la Rai invece addirittura è nata nel 2005, proprio da Bari, grazie al conservatorio. Cercavano un percussionista per la Giornata dell'Eucaristia, con Carlo Conti ho preso parte a "50 Canzonissime" per due stagioni, e adesso ci rivediamo all'Ariston. Tra i vari artisti, invece, con Anna Oxa torna il legame con la Puglia, a volte venivano fuori frasi in dialetto barese. Lei è una signora a tutto tondo, ha classe, carisma, determinazione. Poi con i Baustelle, Mariella Nava, i Matia Bazar, abbiamo girato i palchi di tutta Italia, sono rimasto davvero soddisfatto».
Veniamo all’attualità e ovviamente a Sanremo: ci racconta come si è avvicinato all'Orchestra e che rapporto si crea tra voi, stando a contatto 24 ore su 24?
«Come raccontavo prima, questo è il quinto anno per me, e dopo l'esperienza nell'edizione del Covid, quella successiva è stata forse ancora più traumatica, perché l'ho vissuta in sgradevole compagnia. Portavo dentro un brutto male che avevo scoperto mesi prima, per fortuna l'ho preso in tempo ma ho voluto posticipare un po' le cure pur di non perdermi l'esperienza all'Ariston. Ed ecco che poi il terzo anno è stato quello della rivincita, la mia voglia di affermarmi e ritrovare una normalità sia nella condizione personale che esistenziale. Sanremo è una grande vetrina per tutti, c'è una grande economia, uno show a 360 gradi, tanto movimento per strada... Mi sento fortunato, spero di far parte di tutto questo ancora per molti anni. E devo tutto al maestro Leonardo De Amicis, una chiamata totalmente inaspettata. Ma mai tanto inaspettata come quella di quest'anno, con il cambio della direzione artistica. Appena tre o quattro musicisti della scorsa edizione sono stati riconfermati, e io sono tra quelli. Pinuccio Pirazzoli è una persona preparatissima, simpaticissima, una pietra miliare nella musica leggera italiana, sono davvero felice di essere in questo team».
Ci racconta, per quello che si può, la «giornata tipo» di un membro dell’orchestra a Sanremo durante il festival?
«Sono abbastanza standard o comunque strutturate: prima ci sono i giorni di prove intense a Roma, con l'assestamento, le prime letture dei brani. Poi ci sono cinque giorni di stacco per trasferire tutta la struttura a Sanremo e si va con prove, prove, prove, tra le 14 e le 20/20.30. È una macchina perfetta, ognuno sa quello che deve fare e come lo deve fare, si va in automatico».
Quanto la performance dal vivo a Sanremo incide poi sul successo della canzone?
«Noi facciamo esattamente quello che le case discografiche e i produttori vogliono: su questo sono molto puntigliosi ed esigenti, secondo me anche fin troppo, perché comunque un'orchestra di questa dimensione dovrebbe suonare in maniera irripetibile, invece noi andiamo a ripetere esattamente quello che è nel disco, cercando di ripercorrere quelle che sono le sonorità. Poi dal vivo è tutta un'altra cosa, un altro sound e groove che non può essere sicuramente ripetuto e rimarcato nei dischi».
Sappiamo che non potete esprimere giudizi sulle canzoni, ma se le chiedessimo un giudizio complessivo?
«Carlo Conti ha un modo tutto suo, a livello musicale alcune canzoni sono molto belle, c'è una linea vocale nitida rispetto allo scorso anno, ritmi un po' più incalzanti, e alcuni brani che sono davvero la ciliegina sulla torta. Canzoni d'autore, Brunori Sas, Cristicchi, ma anche Willie Peyote, Shablo, Rocco Hunt, Olly, senza trascurare il bel canto della tradizione italiana».