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Mafia a Foggia, al processo «Game Over» scontro tra Moretti jr e il pentito

 
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Mafia a Foggia, al processo «Game Over» scontro tra Moretti jr e il pentito

Il figlio del capoclan: «Verderosa mi ha teso una trappola». L’inchiesta sfociata nel blitz del 24 luglio 2023 portò a 82 arresti e 85 imputati in 4 tronconi processuali

Venerdì 07 Giugno 2024, 15:31

Rocco Moretti junior, figlio di Pasquale e nipote di Rocco al vertice dell’omonimo clan della «Società», accusa in aula il pentito Carlo Verderosa di avergli teso una trappola, lasciandogli in casa dei foglietti che poi fece ritrovare il giorno dopo alla Squadra mobile contenenti elenchi degli stipendi pagati agli affiliati, delle vittime del pizzo e delle somme estorte, e degli spacciatori punti di riferimento della batteria mafiosa. Anche le dichiarazioni spontanee del 27enne rese in videoconferenza dal carcere hanno contrassegnato l’udienza in Tribunale a Foggia del processo «Game over» a 19 imputati accusati a vario titolo di traffico e spaccio di cocaina aggravati dalla mafiosità. L’inchiesta sfociata nel blitz del 24 luglio 2023 con 82 arresti e che conta 85 imputati in 4 tronconi processuali, riguarda il monopolio sullo smercio di cocaina in città imposto a grossisti e spacciatori dai tre clan della «Società» (i Sinesi/Francavilla, i rivali Moretti/Pellegrino/Lanza che cooptarono nell’affare anche i Trisciuoglio/Tolonese) che acquistava la droga a Cerignola a meno di 40 euro al grammo, e la piazzava ai pusher foggiani a 55/60 euro. Si smerciavano - dicono Dda e carabinieri - 10 chili di stupefacente al mese pari a 50mila dosi, con un guadagno di oltre 200mila euro che alimentavano la cassa comune voluta dai clan per pagare mensili a affiliati, mantenere le famiglie di sodali detenuti, acquistare altra droga. I fatti contestati vanno dal 2017 in poi.

Il riscontro decisivo Per la terza udienza di scena in aula collegato in videoconferenza da una località segreta, Carlo Verderosa foggiano di 42 anni (imputato nel processo abbreviato a 63 persone con richiesta di condanna a 3 anni per traffico e spaccio) pentitosi il 19 dicembre 2019 quando confessò d’aver fatto parte negli ultimi 8 anni del clan Moretti. La storia processuale dice che un riscontro fondamentale al racconto del collaboratore di giustizia avvenne lo stesso giorno del suo pentimento: la squadra mobile perquisì casa di Rocco Moretti junior, lo arrestò per il possesso di oltre un etto di cocaina (già condannato per quella vicenda); e rinvenne 3 elenchi scritti a mano essenziali per ricostruire storia e affari della Società: liste affiliati stipendiati, vittime del racket, nomi di pusher.

Il rampollo dei Moretti Moretti junior, che insieme al nonno Rocco senior è uno dei 19 imputati sotto processo, ha invece disegnato un altro scenario. A dire del malavitoso, Verderosa il 18 dicembre 2019 si presentò a casa sua lasciandogli dei fogli dicendo che erano inviti per una festa in famiglia chiedendogli di tenerli perché li avrebbe ritirati successivamente; il giorno dopo invece Verderosa gli fece perquisire casa dalla Squadra mobile che sequestrò i 3 elenchi; il detenuto ha chiesto ai giudici di disporre una perizia grafologica che dimostrerebbe come non sia sua la grafia.

Il sistema e il boss Verderosa, rispondendo alle domande e alle contestazioni dell’avvocato Tagliaferri difensore di Rocco Moretti senior e dell’avvocato Claudio Caira legale di Antonio Salvatore, ha parlato dei 2 imputati e del «sistema» voluto dai clan per avere il monopolio sulle smercio di cocaina. Il pentito ha detto d’aver incontrato due volte in carcere Rocco Moretti senior (l’accusa contesta al boss di 73 anni di aver promosso l’accordo con i rivali del clan Sinesi/Francavilla per gestire l’affare coca); di non averlo mai frequentato all’esterno; che tramite Pasquale Moretti (non imputato) padre e figlio pagarono le quote di 10mila euro a testa con cui i vari mafiosi che aderirono al sistema finanziarono i primi acquisti di cocaina; spiegato che l’accordo tra clan si ruppe nell’ottobre 2015 in seguito al tentato omicidio di Vito Bruno Lanza, al vertice della batteria Moretti/Pellegrino/Lanza, che diede il via a una nuova guerra con i rivali Sinesi/Francavilla.

Temeva d’essere ucciso Verderosa ha ribadito d’essersi pentito a dicembre 2019 due mesi dopo essere tornato libero, perché temeva d’essere ucciso dal suo stesso clan; d’essere stato detenuto dal gennaio 2016 all’ottobre 2019 in seguito all’arresto e condanna per armi nel blitz «Ripristino» contro il clan Moretti. L’avvocato Caira gli ha contestato che in tre verbali di interrogatori resi durante le indagini, Verderosa disse d’aver saputo poco degli affari della Società dal 2016 sino al pentimento proprio perché detenuto per gran parte del periodo. Nell’ottica difensiva in base alle dichiarazioni del collaboratore di Giustizia di cui pure si contesta l’attendibilità, il «sistema» voluto dai clan per gestire il monopolio della cocaina avrebbe quinti tutt’al più funzionato dal 2012 al 2015, mentre i reati contestati vanno dal 2017 in poi. La Dda replica sulla scorta delle dichiarazioni di Verderosa e di altri pentiti che il «sistema» funzionò anche negli anni oggetto di contestazione quando ogni clan aveva comunque sotto di sé un gruppo di spacciatori cui imponeva di rifornirsi di cocaina. Prossima udienza a fine giugno.

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