FOGGIA - Il pm della Dda Bruna Manganelli ha chiesto la condanna all’ergastolo di Giuseppe Albanese, foggiano, 42 anni, detenuto dal 21 novembre 2018, ritenuto uno dei due killer che il pomeriggio del 23 gennaio 2016 uccisero sull’uscio di casa, un pianterreno di via Capitanata al rione Candelaro, Rocco Dedda, 46 anni, ex pizzaiolo. Ucciso nell’ambito della guerra tra clan della “Società foggiana” che tra settembre 2015 e ottobre 2016 contò 10 agguati con 3 morti e 11 feriti/illesi: si fronteggiarono le batterie Moretti/Pellegrini/Lanza cui sarebbe affiliato l’imputato e i rivali Sinesi/Francavilla ai quali era vicina la vittima.
Al termine di 2 ore di requisitoria in corte d’assise il Pm ha chiesto il carcere a vita (e 18 mesi di isolamento diurno) per Albanese, detto “Prnione” che ha assistito all’udienza in videoconferenza dal carcere di Parma dov’è detenuto al regime dei 41 bis: si dice innocente. Il 16 giugno l’avv. Francesco Santangelo replicherà alle argomentazioni del pm, e chiederà assoluzione e scarcerazione virtuale di Albanese, detenuto anche per altre vicende. In una successiva udienza camera di consiglio e sentenza, ultimo atto del processo iniziato a ottobre 2020. Albanese risponde di porto illegale d’armi e omicidio aggravato da premeditazione e mafiosità per “aver agito con metodo mafioso e per agevolare la Società in considerazione di personalità di aggressore e vittima, soggetti storicamente inquadrabili all’interno della criminalità organizzata; del movente dell’omicidio da individuarsi nelle esigenze di ridefinire gli assetti di potere mediante una vera e propria guerra di mafia esplosa tra le batterie Moretti/Pellegrino e Sinesi/Francavilla; delle modalità plateali dell’agguato, volte a provocare allarme sociale e rafforzare il messaggio omertoso”.
L’accusa poggia essenzialmente su tre pentiti. Prima il foggiano Raffaele Bruno a ottobre 2016 disse di aver riconosciuto Albanese dal modo di camminare nell’uomo a destra nel video dei killer in fuga a volto scoperto, diffuso a luglio da Dda e squadra mobile per chiedere a potenziali testimoni se riconoscessero le persone filmate. Poi nell’estate 2017 Pietro Antonio Nuzzi, già boss di Altamura, raccontò che quand’era detenuto in carcere a Foggia Alessandro Moretti (nipote del boss Rocco, ritenuto affiliato al clan) nel vedere il filmato trasmesso da un tg, riconobbe Albanese e si meravigliò che non fosse stato arrestato. Infine il foggiano Carlo Verderosa pentitosi a dicembre 2019, rivelò che in cella l’imputato gli confidò il coinvolgimento nell’agguato a Dedda e aggiunse d’aver procurato lo scooterone utilizzato dai killer.
Nella ricostruzione accusatoria inoltre l’analisi delle celle telefoniche agganciate dal cellulare di Albanese lo posizionano sulla via di fuga dei killer che percorsero a piedi Villaggio artigiani dopo aver abbandonato e bruciato lo scooterone usato per l’agguato; l’affiliazione al clan Moretti è provata dalla condanna a 18 anni e 2 mesi per mafia e tentata estorsione nel processo di primo grado “Decimabis”; che facesse parte del gruppo di fuoco della batteria malavitosa lo dimostrerebbe l’arresto dello scorso 15 febbraio quale presunto componente del commando che il 6 settembre 2016 tentò d’uccidere il boss rivale Roberto Sinesi; il gruppo Sinesi/Francavilla cercò d’ammazzarlo il 29 ottobre 2016 mentre era in un bar di via San Severo (Albanese si rifugiò nel bagno) dove fecero irruzione 2 sicari assassinando Roberto Tizzano e ferendo Roberto Bruno, parenti di esponenti del gruppo Moretti.
L’avvocato Santangelo replicherà che le dichiarazioni dei pentiti sono contraddittorie, in contrasto tra loro, smentite da un dato inequivocabile: il video dei killer in fuga l’hanno visionato decine di poliziotti e carabinieri che conoscono bene Albanese, ma nessuno l’ha riconosciuto.