FOGGIA - «Quei due uomini non li avevo mai visti prima. Poco prima che iniziasse la gara di trotto cui dovevo partecipare mi avvicinarono nei box e dissero: se oggi arrivi al traguardo, noi non ti facciamo arrivare a casa… Io sono un fantino professionista, da dieci anni è il mio lavoro, giro gli ippodromi di tutta Italia, spesso mi reco anche a quello di Castelluccio dei Sauri: quello che mi è successo qui, non mi è mai capitato in nessuna altra parte». Perché a Castelluccio il fantino campano L.V. dovette fare i conti con la «Società foggiana», la quarta mafia d’Italia che ha esteso i propri tentacoli anche al mondo dell’ippica per scommettere sulle corse dei cavalli, truccandole in modo da andare sul sicuro scommettendo sui piazzamenti, ossia primo, secondo e terzo arrivato. Quando c’era bisogno di ricorrere alle minacce, i mafiosi lo facevano avvertendo i fantini di non vincere. Come successe a due fantini che dovevano gareggiare il 19 ottobre 2017 all’ippodromo di Castelluccio dei Sauri, struttura destinata alle corse di trotto inaugurata nel ’95, dotata di 1300 posti per il pubblico di cui 900 a sedere, 200 box, pista di mille metri che ospita competizioni anche di livello nazionale.
L. V. fantino campano ha rivissuto e raccontato l’ultimatum ricevuto («non devi arrivare al traguardo») nell’ultima udienza della tranche foggiana del processo «Decimabis» in corso davanti alla sezione collegiale del Tribunale dauno. Sono tredici gli imputati in attesa di giudizio dal 21 dicembre 2021 accusati a vario titolo di mafia, quattro estorsioni, un tentativo di estorsione, due contestazioni di usura, uno di turbativa d’asta.
Altri ventotto coimputati sono stati giudicati con rito abbreviato e condannati a 203 anni di reclusione in primo grado dal gup di Bari il 18 ottobre 2022. Di tentata estorsione ai danni dei fantini V.L. e R.G. (con l’aggravante della mafiosità contestata dalla Dda sia per i metodi usati sia per aver agito per agevolare la «Società foggiana») risponde Marco Gelormini, foggiano di 36 anni, in concorso con Alessandro Aprile, Francesco Tizzano e Emilio Ivan D’Amato che sono stati condannati a ottobre scorso nel giudizio abbreviato. Gelormini fu arrestato il 16 novembre 2020 nella prima parte del blitz «Decimabis»: è a piede libero e respinge le accuse che poggiano su intercettazioni: è difeso dagli avvocati Paolo D’Ambrosio e Massimo Garruto.
Rispondendo alle domande del pm e difensori di Gelormini, il fantino campano ha detto di conoscere l’imputato da anni quale appassionato di cavalli e di corse, quindi talvolta si incrociano agli ippodromi; poi ha parlato delle minacce ricevute da due sconosciuti il primo pomeriggio del 19 ottobre 2017. «Ero nei box in attesa di prendere parte alla corsa» il racconto di L.V. «quando fui chiamato in disparte da due persone che non conoscevo, e che dopo quel giorno non ho più rivisto; parlavano con accento pugliese. Dopo aver avuto conferma su chi fossi, mi intimarono di non arrivare al traguardo altrimenti non mi avrebbero fatto arrivare a casa. Risposi di non poterlo fare, che quello era il mio lavoro: mi strattonarono, alzarono la voce, ribadirono le minacce perché non mi piazzassi ai primi tre posti, e si allontanarono. Subito informai la direzione di gara» (il presidente di giuria è stato sentito in aula nell’udienza del 18 gennaio) «e la corsa fu sospesa: arrivarono i Carabinieri e fui interrogato. Ricordo - ha concluso il fantino - d’aver incontrato quel pomeriggio il mio collega G.R. che mi disse d’essere stato minacciato anche lui». Verrà interrogato nella prossima udienza.