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Monsignor Farina, un gigante della Chiesa al servizio del territorio

 
Vincenzo Pelvi

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Vincenzo Pelvi

Monsignor Farina, un gigante della Chiesa al servizio del territorio

La straordinaria figura e l’esperienza di carità e spiritualità del vescovo di Foggia

Mercoledì 23 Novembre 2022, 12:59

Sulla figura del vescovo Farina pubblichiamo un contributo dell’arcivescovo metropolita di Foggia.

La Storia della salvezza è guidata dal Signore, ma è anche nelle mani degli uomini che il Creatore ha voluto liberi. È sempre Dio a prendere l’iniziativa, a fare una proposta precisa, ma è l’uomo che l’accetta o la rifiuta. Se l’accetta, l’intervento divino può concretizzarsi; se la rifiuta, la Storia della salvezza ha una battuta d’arresto.

Nei momenti della prova, il Signore chiama un uomo e lo manda come suo profeta per aiutare l’umanità. È l’esperienza di quella carità incarnata, testimoniata da Mons. Fortunato Maria Farina, che ha insegnato a leggere le esperienze drammatiche del suo tempo, inserendole nell’orizzonte di un Amore assoluto ed eterno.

Commuove lo stile colloquiale e sereno con cui don Fortunato indicava il bene nascosto in ogni evento, cercando e offrendo benevolenza nelle piccole realtà quotidiane e nelle infinite forme di fragilità e sofferenza. Man mano che Dio diventava importante per lui, quanto più si rapportava a Lui, tanto più profondamente suggeriva percorsi di bene per procurare il pane, la cultura e la libertà, guardando il presente con un’altra Speranza.

Per Mons. Farina, la sapienza è più della scienza; a essa è possibile accedere attraverso un investimento personale, mediante comportamenti capaci di rendere trasparenti le istanze del Regno nell’esistenza umana. Ogni concreta situazione, ogni autentico valore terreno, ogni barlume di buona fede diventava, per il Nostro, invito, impulso, aiuto positivo a incamminarsi verso il raggiungimento della ricchezza soprannaturale e della gloria senza ombre e senza fine.

In questa dinamica sapienziale affondano le radici della formazione sociopolitica di Mons. Farina, ispirata alla Rerum novarum, al pensiero di Luigi Sturzo, Giuseppe Toniolo e al card. Andrea Carlo Ferrari.

Basti ricordare la fatica e il coraggio apostolico con cui si impegnò all’indomani delle incursioni aeree su Foggia nel 1943. Tra le svariate iniziative, ricordiamo l’Opera “San Francesco Regis” per le famiglie e “San Michele Arcangelo” per i giovani in difficoltà. Senza fermarsi su teoriche discussioni, prese contatto con le ferite delle zone povere del territorio.

Sostenne, infatti, le Opere pie, che nell’epoca venivano chiamate “Conservatori”: il Conservatorio “Santa Teresa”, come ricovero per orfane abbandonate; il Conservatorio della “Maddalena” per le donne pentite; il Conservatorio del “Buon Consiglio” per le persone fragili; il Conservatorio “Santa Margherita di Cortona” per le ragazze uscite dalla tratta; il Conservatorio dell’“Addolorata” per le orfanelle del colera. Questi Conservatori furono raggruppati e sviluppati a favore degli orfani e dei poveri e accolti nel Conservatorio dell’Addolorata, denominato dal popolo “Conventino”.

Un’attenzione particolare fu data anche all’Opera pia “Scillitani” per l’azione caritatevole delle Suore della carità di Santa Giovanna Antida come pure all’Istituto delle “Marcelline” per la missione educativa dei giovani.

Mons. Farina fu autorevole e amorevole tutore della iniziativa della Fondazione “Maria Grazia Barone” e volle in Città le Pie Operaie di San Giuseppe per l’assistenza morale, psicologica e spirituale delle donne, vittime di violenza.

Inoltre, con uno sguardo lungimirante, portò a Foggia l’ospedale psichiatrico “don Pasquale Uva”, sul modello del Cottolengo di Torino.

Fu anche esecutore testamentario della signora Michelina Gravina, la cui opera benefica, in san Marco in Lamis, accoglieva inabili al lavoro e fanciulli per una formazione religiosa e civile.

In tutto ciò, il Vescovo Farina riuscì ad armonizzare la fatica del pensare, del confronto, dell’approfondimento, con la forza delle emozioni, mettendo in campo energie e volontà di formarsi una idea adeguata della complessità dei problemi, cosicché non si confondessero le verità con le opinioni. Sul binario spirituale e culturale, rinsaldò patti di stima e solidarietà, capaci di superare frammentazione e contrapposizioni e ricostruire un tessuto di relazioni solidali e sicure.

A riguardo, lo stesso rapporto con il Fascismo, lo vide sempre come uomo prudente, in modo particolare con le Autorità locali. Questo suo atteggiamento e il tratto mansueto lo resero interlocutore stimato e apprezzato nella difficile politica del tempo, con i suoi interventi carichi di equilibrio, speranza evangelica e pace sociale.

In Capitanata, almeno fino allo scoppio della II Guerra Mondiale, si poté così evidenziare una sorta di “convivenza” tra Chiesa locale e Fascismo: spesso fu lo stesso Farina a rivelare l’adozione di certe cautele per evitare incidenti.

Rileggendo alcuni interventi emerge l’impegno del Vescovo a coniugare la sensibilità religiosa e quella civile nella consapevolezza di una responsabilità comune in determinate condizioni storiche. Ne derivò un rapporto significativo tra politica e spiritualità. Esso indicò uno spazio vuoto entro cui la politica incontra la dimensione interiore e si fa non solo “con”, ma anche “per” il prossimo.

Per don Fortunato occorreva la capacità di governare, prima che gli altri, se stessi, le proprie debolezze e ipocrisie, così da acquisire autorevolezza e ottenere quella virtù cristiana che è la coerenza. Egli amava ripetere che, se vogliamo un futuro più sicuro, un futuro che incoraggi la prosperità di tutti, è necessario mantenere la bussola sempre puntata verso valori autentici.

Accogliere l’altro come dono costruisce la fraternità umana, a partire dalla diversità. La scelta di fronte alla quale ci troviamo è fra la fiducia dell’altro o il sospetto, tra il consegnarsi come Cristo all’umanità o l’armarsi per negare un posto all’altro. Scegliamo di essere tutti fratelli: ecco la linea sacra che è in perfetta sintonia con la volontà divina.

Nonostante gli anni, le disillusioni, la pesantezza, ciascuno deve essere capace ogni giorno di ridire: «io ricomincio», conservando la luce degli occhi e la freschezza del ringraziare. Vivere ogni giorno come un inizio dove nulla è ancora deciso, dove ogni rischio è ancora aperto, dove ogni avventura è ancora indefinita. Rinnovare è solo difficile, non impossibile: è il testamento di queste pagine amorevolmente scritte con il cuore da Mons. Luigi Nardella, caro presbitero della Chiesa di Foggia-Bovino.

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