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Giornalisti nel mirino sul fronte di guerra, uccisi per nascondere la verità

Giornalisti nel mirino sul fronte di guerra, uccisi per nascondere la verità

 
Enzo Verrengia

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Enzo Verrengia

Giornalisti nel mirino sul fronte di guerra, uccisi per nascondere la verità

Sei inviati di Al Jazeera muoiono a Gaza e allungano la lista dei corrispondenti dal fronte che giungono fino all’immolazione per documentare dal vivo l’orrore dell’uomo che combatte contro il proprio simile

Giovedì 14 Agosto 2025, 14:00

Sei inviati di Al Jazeera muoiono a Gaza e allungano la lista dei corrispondenti dal fronte che giungono fino all’immolazione per documentare dal vivo l’orrore dell’uomo che combatte contro il proprio simile. La guerra è la tragedia più articolata da esporre a chi si trova distante dai «killing fields», i campi di battaglia, cui ha intitolato la propria autobiografia il neozelandese Peter Arnette, colui che nel 1991 trasmise in diretta il bombardamento di Bagdad. Ben prima, si era ispirato a lui e alla sua esistenza consumata fra bombe e proiettili Peter Weir per il film Un anno vissuto pericolosamente (1982), che celebrava la giovinezza indonesiana dell’ormai celebre inviato di guerra. A sua volta, Hugo Pratt realizzò storie a fumetti ricalcate su Ernie Pyle, il grande giornalista americano ucciso dai giapponesi su un’isoletta a Nord di Okinawa. In quelle tavole, le sparatorie e le imboscate non sono avventura, bensì tragedia inesplicabile e vana.

Per capire le scaturigini di ogni contrapposizione armata occorrono lucidità, elementi di analisi e cultura. Koestler, Dos Passos, Saroyan, Steinbeck e Orwell hanno riferito con il sentire della pietà e la prospettiva dell’intelligenza su schiere in armi contro i propri simili. Ernest Hemingway rivela all’inizio di Morte nel pomeriggio: «Stavo cercando di imparare a scrivere, partendo dalle cose più semplici, e una delle cose più semplici di tutte è la morte violenta.» Si riferiva alle corride, come più tardi sarà per la caccia grossa in Africa o per la solitaria partita di un vecchio contro i predatori del mare. Ma la morte violenta più spietata e vivida che ricorrerà nella scrittura di Hemingway, sino a farne lo specifico, è quella che si incontra in guerra. Lui l’aveva sperimentata dietro le linee italiane del 1915/18. In seguito ne avrebbe trovato abbondanza nella Spagna del ‘36, ricavandone la materia di Per chi suona la campana. Insieme a Hemingway, un’intera generazione di autori doveva confrontarsi con la guerra per estrarne le radici della propria espressione narrativa. Fra di essi c’era anche Francis Scott Fitzgerald.

Il corrispondente dal fronte non conosce la monotonia urbana, via via appiattita sullo schermo domestico e sulle chiacchiere di un’umanità afflitta dal banale e dall’inconsapevolezza nell’epoca della massima disponibilità di informazione. Della quale, purtroppo, la guerra costituisce il culmine. Dopo il secondo conflitto mondiale, quello di Corea e del Vietnam dominarono imperversarono sui telegiornali. Negli Stati Uniti i notiziari di punta sono trasmessi nella fascia oraria che inizia alle 19, con le CBS News. Durante l’escalation nel sud-est asiatico la TV era il regno di Walter Cronkite, l’anchorman per definizione. Dopo la vittoria americana nell’offensiva del Têt, il capodanno buddista del 1968, al prezzo di parecchie vite umane, Cronkite domandò in diretta: «Che diavolo succede? Credevo che questa guerra la stessimo vincendo noialtri!» Il presidente Johnson commentò che con il rammarico di Cronkite il governo aveva perso il sostegno del cittadino medio. Uno scoramento che evoca la sequenza più toccante di Vivere per vivere, diretto da Claude Lelouch nel 1967. Yves Montand, nella parte dell’inviato televisivo Roberto Colombo, si aggira fra i massacri del Vietnam mentre fuori campo le voci di Annie Girardot e Nicole Croisille si alternano a cantare il brano Des ronds sur l’eau (cerchi sull’acqua). Una melodia drammatica e incalzante esprime le tragedia che incombe su chi va a raccontare la guerra in diretta per un pubblico lontano, indifferente, distratto e apatico come quello dei Paesi più sviluppati.

Nel reportage cinematografico di Marcel Ophuls A Sense of Loss (senso di perdita), realizzato nel 1972 sulla guerra civile che lacerava l’Irlanda del nord, ad un tratto si vede uno speaker che parla sullo sfondo di un quartiere in fiamme, a Belfast. Colpito da una bomba, l’uomo salta in aria dinanzi alla telecamera, che resta inanimata a riprendere la scena.

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