Leggere determinate notizie dovrebbe provocare non solo un immediato dissenso ma un’azione: muoversi perché qualcosa cambi, perché qualcuno cambi. Quotidie la cronaca raccontata dai mass media ne è densa e fitta, signum di un netto disorientamento quando i princìpi etici non sono chiari, quando l’educazione vacilla, quando si smarrisce l’amore.
Alcune notizie poi non destano più clamore, pochi giornali ne scrivono, eppure si tratta di un fenomeno in costante crescita con dati allarmanti: maltrattamenti e abuso sui minori. Lo scorso 11 giugno l’«Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza», «A.G.I.A.», ha presentato la III indagine nazionale sul «maltrattamento dei bambini e degli adolescenti in Italia», realizzato da Terre des Hommes e Cismai con il supporto tecnico di Istat. È emerso un dato incontrovertibile, che non ha bisogno di alcuna interpretazione. È un fatto che i maltrattamenti in Italia sono aumentati del 58% in cinque anni, quasi 114 mila le vittime, l’87% dei casi è registrato in famiglia. Proviamo vergogna per questo? Dopodiché, cosa possiamo fare per evitare tali bestialità?
La famiglia è stata ed è - sappiamo - un rifugio sicuro ma al contempo uno spazio conflittuale, può divenire perfino un contesto di maltrattamenti, di violenza psicologica e/o fisica. Da una famiglia patriarcale a una famiglia enucleata, allargata, le vittime restano i bambini e le bambine, gli adolescenti indifesi, soli, inermi, impossibilitati a reagire. Da anni di povertà, analfabetismo, degrado sociale, assistiamo nel Terzo Millennio a carenze educative, ad abusi. È necessario comprendere che tali violenze sono attuate, sono quotidiane, tanti bambini e adolescenti sono vittime di un tessuto familiare negletto, ma che non possono essere tollerate in una società cosiddetta civilizzata, democratica, evoluta, che possiede strumenti come l’intelligenza artificiale e ha in seno adulti trogloditi. I servizi sociali dei Comuni hanno fornito i dati richiesti dall’A.G.I.A., una campionatura di 450 Comuni sulla base della popolazione sui minori, dalla cui campionatura a detenere l’angosciante primato è il Sud insieme alle isole, (un aumento esponenziale), con questionari che mostrano tassi di vulnerabilità e fragilità degli adolescenti, con evidenti differenze di percentuale in relazione alla provenienza: Nord, Sud, Centro.
È una complessità che è indispensabile vedere, riconoscere, denunciare. È un dovere della società, delle istituzioni, di tutte quelle realtà atte a sottrarre da un mondo sommerso di trascuratezza, di violenze, i futuri adulti. Più che giudicare, o tanto meno giustificare, è essenziale intervenire, prevenire, educare, formare, sostenere. Non sempre si tratta di condizioni disagiate, o non istruite, è corretto puntualizzarlo, è palese che non si può né si deve generalizzare, ma non si può né si deve nascondere un simile dato. La famiglia non è una cornice sicura, soprattutto quando gli adulti non hanno supporto, non hanno strumenti per crescere un figlio o una figlia in modo sano, e quando probabilmente non dovrebbero avere dei «figli» perché privi della capacità di dare amore, forse se ci fosse il sentimento solido dell’amore, non si provocherebbero squilibri, alle volte infatti sono gli adolescenti a chiedere aiuto per i loro genitori, causando un ribaltamento di relazione, di ruoli.
Preoccuparsi è un dovere di tutti, così come adoperarsi: gli organi vicini alle realtà familiari, le istituzioni, le strutture sanitarie, gli assistenti sociali, un team di riferimento che non sia costituito solo da psicologi, (che oramai sembrano la soluzione immediata talvolta illusoria a ogni situazione), occorre una interazione di saperi, di professioni. Dovrebbero esserci più servizi, più occhi sensibili, più orecchie attente, delle comunità educative presenti nei territori. Più persone che sappiano amare, che conoscano l’amore, il rispetto, che siano in grado di prendersi cura (caregiver). Si sta perdendo di vista l’attenzione per tutto ciò che è, la bellezza dei bambini, la loro autenticità, distratti dal lavoro, dalle preoccupazioni, ingabbiati nelle proprie autoreferenzialità.
Di sicuro essere soggetti consapevoli e responsabili non è mai stato facile, ma è giunto il momento di non assumere l’«atteggiamento dello struzzo»: negare tale realtà è un crimine. Gli adulti capaci ci sono, anche questo è un dato, una certezza, qualcuno che ascolta, che è in grado di aiutare.
Cosa si può fare? Sono state promulgate Costituzioni, Dichiarazioni, norme che contengono la salvaguardia dei diritti dei minori, ci sono associazioni, centri di assistenza, eppure i casi di maltrattamento sono elevati anche su bambini disabili e in ogni tipologia familiare in cui le categorie di rispetto, di ruolo, di riconoscimento sono insufficienti. E allora, risulta per ciascun essere umano un dovere etico, un imperativo - e al respiro a tratti affannoso, strozzato, desidero sostituire quello speranzoso –, si può e si deve agire! I bambini hanno bisogno di credere in noi, di riporre fiducia nell’adulto, hanno bisogno del nostro amore, del nostro rispetto, di essere «educati alla vita».