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La fredda risposta del Sud ai referendum è un segnale su cui occorre riflettere

La fredda risposta del Sud ai referendum è un segnale su cui occorre riflettere

 
Gaetano Quagliariello

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Gaetano Quagliariello

La fredda risposta del Sud ai referendum è un segnale su cui occorre riflettere

Non serviva la sfera di cristallo per sapere che il referendum non avrebbe raggiunto il quorum

Venerdì 13 Giugno 2025, 13:00

Non serviva la sfera di cristallo per sapere che il referendum non avrebbe raggiunto il quorum. È un copione che si ripete – salvo rare eccezioni – ormai da molto tempo, nonostante la possibilità di indire le consultazioni tramite piattaforma digitale. Ma nel Mezzogiorno è andata anche peggio del previsto. L’affluenza media è stata inferiore a quella nazionale, con punte minime in Sicilia e Calabria.

Si può discutere della crisi degli strumenti di partecipazione democratica, dire che vanno aggiornati, prendersela con gli italiani che disertano le urne, oppure con chi, lecitamente, fa campagna per l’astensione, giocando in casa. Ma il voto nel Sud ha assunto anche un significato politico-elettorale, considerando la posizione assunta dal Partito democratico.

Nel day after referendario, quest’ultimo ha riproposto una lettura della consultazione perlomeno azzardata: alle urne è andato un numero di italiani superiore a quello raccolto dal centrodestra alle politiche del 2022. Il referendum è stato un avviso di sfratto per il Governo in carica. Si tratta però di un artificio numerico che confonde il voto politico con una mobilitazione referendaria. E che, nel giro, di ventiquattr’ore, si è progressivamente sgonfiato: prima 15, poi 14, poi 13 milioni. Alla fine i Sì sul lavoro sono stati poco più di 12 milioni. Un numero rispettabile, ma comunque leggermente inferiore ai voti ottenuti dalla coalizione di governo nel 2022. Sul quesito più simbolico – quello sulla cittadinanza – i Sì si sono fermati a 9 milioni: molto meno dei No e degli astenuti.

Da qui discendono due considerazioni. La prima è che il risultato del referendum non ha spostato molto rispetto alle politiche del 2022 o alle europee del 2024. La seconda è che proprio il dato del Sud dovrebbe far riflettere dirigenti dei partiti e strateghi elettorali. L’Italia si è consolidata, dal punto di vista politico, su due macro-aree: il Nord, egemonizzato dal centrodestra; il Centro, dove resistono le roccaforti storiche del centrosinistra. Il Mezzogiorno, invece, è un campo mobile. Nel corso degli ultimi anni, ha votato Berlusconi, poi Di Maio, poi Meloni. Ogni volta, il Sud è stato un test per il Paese. Nel 2018, ad esempio, il Movimento 5 Stelle fece il pieno nelle regioni meridionali. Nel 2022 perse metà dei consensi. In questo senso, il referendum dell’8 e 9 giugno non ha intercettato la domanda di cambiamento che arriva dal Mezzogiorno.

Le forze politiche che hanno sostenuto la consultazione possono anche rivendicare di aver compattato il loro elettorato sul lavoro, ma si sono disgregate sulla cittadinanza. E soprattutto, il Sud non ha risposto alla chiamata. Il Meridione non vuole tornare indietro, ma guardare avanti. Il reintegro automatico, l’omologazione delle tutele, la fine della flessibilità, sono parole d’ordine che non parlano alla generazione degli stagisti, dei freelance, delle partite IVA, e nemmeno a quel mondo di giovani con contratti a tempo indeterminato che oggi chiedono stipendi più alti, prospettive reali, non protezioni paternalistiche.

Lo stesso vale per la cittadinanza. Anche in questo caso, i flussi di voto raccontano un Paese diviso tra grandi centri urbani e aree interne meno disposte a mobilitarsi.

Difficile pensare che un cittadino di una provincia interna del Sud, dove medici, scuole e treni scarseggiano, si mobiliti per la cittadinanza altrui, quando la propria non sempre è pienamente garantita. Così, il Sud è rimasto a casa. O è andato al mare. Un segnale che dovrebbe mettere in guardia chi rivendica i risultati dei referendum.

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