Quando si parla di lavoro è sempre complicato, perché siamo in una zona grigia, in un ambiente che vede interessi apparentemente contrapposti, tra il datore di lavoro e il lavoratore. Ci troviamo quindi in uno scenario di continuo sforzo di mediazione, perché solo se entrambi riescono a fare l’interesse dell’impresa, c’è possibilità di accordo, di crescita e di sviluppo per entrambi. Ci sono i diritti e ci sono i doveri, ci sono bisogni reciproci e ci sono interessi comuni e anche contrapposti.
È necessario ricordare sempre che la legge tutela chi ha meno tutele e possibilità, per garantire equità, inclusione e benessere sostenibile. Per questo i primi quattro quesiti del Referendum dell’8 e 9 giugno, intendono aumentare le garanzie e i diritti dei lavoratori, sul piano dei contratti e della sicurezza. È comprensibile, tuttavia, la posizione di coloro che creano lavoro, gli e le imprenditori e imprenditrici, i quali si assumono la responsabilità di amministrare le attività affinché queste possano essere economicamente sostenibili e possano garantire lavoro e stipendi in un mercato instabile e continuamente messo alla prova da scenari endogeni - quali ad esempio il cambiamento della cultura delle abitudini di consumo dei clienti, le nuove esigenze di tempo e di valore della prestazione, nonché di formazione, ben negoziate dalle giovani generazioni al lavoro -, ed esogeni, come i conflitti internazionali, che hanno generato nel tempo rialzo delle materie prime, inflazione, recessioni e vere e proprie crisi del mercato e quindi del lavoro.
Il paradigma teorico su cui poggia il referendum, relativamente ai temi del lavoro, ma anche a quello della cittadinanza da acquisire in tempi più brevi come in molti paesi europei, prova a equilibrare le condizioni per una parte della popolazione più debole, che in condizioni ottimali dell’economia e di sicurezza del Paese e del continente, sarebbero condivisibili senza ricorso alla scelta popolare, in quanto derivanti dal principio di equità e opportunità per tutti.
Di questi tempi, certamente, chi ha maggiori possibilità di investire nel rischio di creare impresa, ha anche la responsabilità di ridurre l’impatto negativo che i cambiamenti d’epoca stanno provocando anche in economia, non ultimo l’assenza di forza lavoro in alcuni settori dell’economia, la scomparsa di alcune professioni, a causa dell’avvento delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (IA) e della digitalizzazione e automazione, la fuga dei cervelli in zone più ricche del Paese, il calo della natalità, l’invecchiamento della popolazione e l’aumento dei costi di welfare, senza ricambio generazionale. Così come per le nuove generazioni, il tema della difficoltà a costruire un futuro solido, una famiglia, una casa, una certezza di lungo periodo.
Una scelta responsabile richiama al senso civico, a fare il primo passo per un presente e un futuro più solido, non perché non ci siano bisogni e problemi da risolvere da parte dei datori di lavoro, o perché non ci sia bisogno di rendere più sicuro il processo di interculturalità della popolazione, ma perché nelle more di un’agenda complessa e globale, bisogna riconoscere i bisogni da tutelare, incominciando da chi ha meno voce e meno opportunità di scelta. Accendere una lanterna per qualcun altro, può far luce anche sul proprio cammino.