Sabato 06 Settembre 2025 | 16:11

Shoah, incubi e ricordi: quel passato spaventoso raccontato dal futuro

 
Rossana Gismondi

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Rossana Gismondi

Shoah, incubi e ricordi: quel passato spaventoso raccontato dal futuro

La storia è di quelle incredibili, a tal punto che sembra inventata. Invece è una storia vera, realmente accaduta. Il protagonista, colui che l’ha raccontata, ne ha fatto un libro

Lunedì 20 Gennaio 2025, 14:15

La storia è di quelle incredibili, a tal punto che sembra inventata. Invece è una storia vera, realmente accaduta. Il protagonista, per meglio dire colui che l’ha raccontata, ne ha fatto un libro. Un libro che, se fosse stato pubblicato negli Usa, sarebbe già un film.

Dunque, c’è un italiano di origini ebraiche, Fulvio Solms, nato a Bari in pieno boom economico anni 60: ad un certo punto della propria vita, comincia a porsi domande sulle origini della sua famiglia. Il padre, Marco, non gliene ha mai parlato volentieri. Troppo dolore: egli, nato in Germania da genitori ebrei – i nonni del protagonista- ha riparato in Italia, appena giovanotto, poco prima che scoppiasse la seconda guerra mondiale. Con tutto l’orrore che quella guerra ha portato dietro di sé e che oggi ricordiamo come Shoah, nella giornata della memoria ricorrente proprio in questi giorni.

Marco, fuggiasco, non ha mai più rivisto i genitori, ricchi industriali ebrei in Germania da molte generazioni, nonostante due tentativi di fuga mancati, sino al giorno i cui vennero prelevati in casa dai nazisti e deportati a morire in un campo di concentramento. Il dolore, negli anni, si consumava nelle tre parole di morte di un documento della Croce Rossa arrivato dopo la guerra: «Deportati a Lòdz».

Marco, che aveva vissuto pericolosissimi dieci anni da fuggiasco in Italia quando, anni dopo, mise su famiglia volle, con i suoi silenzi, proteggere il figlio Fulvio dalla sofferenza e dai sensi di colpa, provati fino alla fine. Morto Marco, il giovane Fulvio scelse di «aprire» il cassetto più doloroso della vita del padre e della famiglia, per capire, comprendere, ricostruire . E raccontare: prima di tutto a sé stesso. Cominciando proprio da quell’unica traccia: il documento della Croce Rossa. Riannodò in un percorso al contrario nel tempo il filo della storia dei nonni, che non ha mai conosciuto: Berlino, Stettino, Lòdz, Chelmno, la Calabria, Bari e Roma, Shangai, Long Beach, Londra.

Una catena di tracce, piccoli frammenti di quelle due vite perse, documenti, testimonianze, luoghi, percorsi, oggetti appartenuti ai nonni prima dell’Orrore. Cercati, inseguiti per anni: con ostinazione, tenacia, determinazione. Viaggiando in ogni parte del mondo, dalla casa sperduta nei boschi tedeschi, al luogo esatto dove sorgeva il campo di concentramento demolito frettolosamente dai nazisti per cancellare il Male, affinché il mondo non sapesse.

Fulvio è andato ovunque ritenesse di poter trovare qualcosa. E siccome l’Amore è - davvero, non solo perché l’ha scritto il sommo Dante - l’unica forza in grado di muovere il mondo e le altre stelle, infine ci è riuscito. Ha ripercorso i passi, calpestato quei prati ai tempi attraversati dai binari dei vagoni piombati. E finalmente scoperto, insieme con le radici della propria famiglia spazzata via dalla follia nazista anche le sue. Quelle radici che affondavano nei silenzi angosciati e sofferenti di suo padre. Ha cercato e scoperto: lasciandone testimonianza. Che è l’ingrediente necessario affinché si possa ricordare.

Magari imparare, anche se gli Orrori si ripetono in tutte le guerre. Causando vittime innocenti, ancora e ancora.

Il libro si intitola E vi cerco ancora, in copertina le foto di una coppia di mezza età, dal sorriso mite, gentile: avrebbero potuto essere i nonni di tanti di noi. Chi scrive, il libro l’ha letto - d’un fiato - quando era ancora una bozza. Fulvio Solms, l’autore, è un giornalista, un collega: ci conosciamo sin da ragazzi.

Marco, il padre, uomo gentile ed elegante, era amico di mio padre Mario sin dai tempi della guerra. Mario, ragazzo, serviva ai tavoli nel ristorante di famiglia a Bari, uno dei pochi ancora aperti, frequentato da militari di tutti i Paesi transitati nella nostra città.

Marco, ragazzo in fuga dall’Orrore, era un ospite taciturno e solitario, ma per il quale, anche se tutto scarseggiava, mio padre e mio nonno avevano sempre qualcosa da mettere in tavola. Marco e Mario, ragazzi pieni di sogni in tempi da incubo, diventarono, in seguito, giornalisti entrambi. Ma, specialmente, rimasero amici per tutta la vita.

Non conoscevo la storia dei nonni, della famiglia del mio amico Fulvio, prima di aver letto il libro. Tuttavia gli sarò grata per sempre- credo dovrebbero esserlo anche gli Uomini e le Donne che verranno e che per loro buona sorte non hanno vissuto quell’Orrore, ma che potrebbero dimenticarlo - per averlo scritto. Ha reso un’appassionata testimonianza dal futuro di un passato spaventoso cercando, ancora e ancora, tutto ciò che il Male gli ha portato via.

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