Sabato 06 Settembre 2025 | 15:07

Altro che autonomia, la Zes unica non valorizza i territori

 
Guglielmo Forges Davanzati

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Guglielmo Forges Davanzati

Altro che autonomia, la Zes unica non valorizza i territori

Non si dispone, al momento, di una base conoscitiva ufficiale per la valutazione degli impatti delle zone economiche speciali in Italia, nonostante esse siano state normate a partire dal 2017

Sabato 20 Luglio 2024, 13:04

A sette mesi dalla sua istituzione si può provare a tracciare un bilancio, seppur provvisorio, della Zes unica voluta dal Ministro Fitto, sulla base dell’evidenza scientifica sui fattori che determinano la localizzazione industriale e delle nostre conoscenze sui costi e benefici del decentramento istituzionale. Non si dispone, al momento, di una base conoscitiva ufficiale per la valutazione degli impatti delle zone economiche speciali in Italia, nonostante esse siano state normate a partire dal 2017.

Può essere utile ricordare che le Zes europee e italiane - basate su trattamenti fiscali e doganali favorevoli per le imprese che localizzano in determinate aree - si basano sull’esperienza cinese, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, per terminare, al momento, con l’istituzione della Hainan Free Trade Zone del 2018 e le cosiddette Zes di ultima generazione, diverse dalle prime perché queste erano concepite come «isole capitalistiche» in un’economia dirigistica e burocratizzata. Sono considerate di successo le esperienze dei Paesi dell’Est Europa, soprattutto la Polonia, a partire dalla fine dell’esperienza comunista.

Quattro aspetti andrebbero considerati per valutare l’esperienza fatta e ciò che ci si può attendere.

Le principali fonti informative e analitiche sulle Zes sono costituite da un Report della Banca Mondiale del 2017 («Special economic zone: an operational review of their impacts») e, per il caso italiano, da uno studio di The European House-Ambrosetti, del novembre 2023. Il Rapporto della Banca Mondiale mette in rilievo come l’importanza delle Zes sia stata largamente sovrastimata, soprattutto in considerazione del fatto che le analisi che le hanno riguardate si sono concentrate quasi esclusivamente sui casi di successo. Così, a quanto risulta, accade anche nel caso italiano, laddove la Zes Campania viene citata come esempio di ciò che dovrebbero essere le altre, spesso mettendo in secondo piano le specificità non riproducibili di quella esperienza, che rinviano alla molteplicità di fattori che determinano i vantaggi localizzativi.

L’evidenza empirica mostra che le otto Regioni del Mezzogiorno attraggono una quota modesta degli investimenti diretti esteri, che tendono a concentrarsi al Nord, nonostante i salari siano mediamente più bassi al Sud. Le fondamentali ragioni che spiegano questo fenomeno sono riconducibili all’assenza, nelle zone economiche speciali, di altri fattori di contesto: fra questi, soprattutto, la disponibilità di capitale pubblico - infrastrutture, in primo luogo - e la presenza di criminalità organizzata. Trasporti e sicurezza sono beni pubblici e rappresentano dotazioni essenziali per gli investimenti, influenzando la produttività del lavoro e, dunque, il costo del lavoro. La letteratura scientifica, fin dai primi contributi di Alfred Marshall (1920) sul tema, ha anche messo in evidenza l’effetto della vicinanza delle attività produttive sulla riduzione dei costi di trasporto e, per conseguenza, sui vantaggi localizzativi. Hanno notevole rilevanza - si ritiene - gli effetti di spillover, e, dunque, la trasmissione - fra imprese vicine - di conoscenze, codificate e tacite, rilevanti per le innovazioni organizzative e tecnologiche. Incidentalmente, secondo alcuni autori, è proprio su queste basi che si spiegherebbe il successo dei distretti industriali italiani.

In linea generale, si può concludere, a riguardo, che le Zes funzionano bene laddove, come nel caso della Campania, si è già raggiunto un buon grado di sviluppo economico (con un’incidenza elevata, rispetto alle altre Regioni del Mezzogiorno, del manifatturiero con elevato contenuto tecnologico, soprattutto nella farmaceutica). Il successo della Zes di Dubai, ad esempio, viene spiegato con la posizione strategica rispetto ai traffici marittimi e con l’elevato tasso di crescita.

Lo studio di Ambrosetti evidenzia la necessità di attuare politiche industriali nel Mezzogiorno come pre-condizione per l’attrazione e lo stimolo degli investimenti nelle zone economiche speciali, incidendo sulla specializzazione produttiva, al fine di aumentarne l’intensità tecnologica.

L’istituzione della Zes unica corre il duplice rischio di produrre un eccessivo carico burocratico a livello centrale e soprattutto di far perdere, rispetto all’assetto pre-esistente, con otto Zes decentrate, i rapporti con il territorio e, dunque, la possibilità di valorizzarne le potenzialità, come messo in evidenza nello studio di Ambrosetti. In questo senso, sembra di trovarsi di fronte a un atteggiamento schizofrenico nel Governo, dal momento che l’accentramento delle Zes si muove in direzione contraria rispetto a quella indicata dal progetto dell’autonomia differenziata e anche rispetto alle nuove disposizioni del Miur sui rapporti fra Università e territorio (la cosiddetta Terza Missione).

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