È ormai in dirittura d’arrivo la nuova filiera formativa tecnologico-professionale, dopo un cammino di riforma fortemente voluto e perseguito dal Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, che finalmente porterà i nostri percorsi di istruzione e formazione professionale e tecnica superiore a un livello europeo, permettendoci di meglio affrontare le grandi sfide che ci attendono.
Il nuovo modello organizzativo voluto dal Ministro ha tutte le caratteristiche per attivare, anche fuori dal perimetro scolastico, importanti risorse culturali e socio-economiche e per accompagnare i giovani verso il «tempo della maturità», che non è quello di un esame finale ma quello della consapevolezza di dover e poter svolgere un’attività professionale gratificante e motivante, arricchente e coerente con la propria esperienza umana e con le attese di vita futura.
Un provvedimento ambizioso, dunque, che contribuisce insieme agli altri già varati, come ad esempio l’introduzione dei docenti tutor per accompagnare gli studenti nella scelta dei percorsi formativi più coerenti con le loro abilità e Agenda Sud per combattere la dispersione scolastica e i divari di apprendimento, a proiettare nel futuro il nostro sistema d’istruzione.
Anche per questo motivo sembrano strumentali e irricevibili le contestazioni che da alcune parti, peraltro marginali, sono arrivate alla riforma.
Chi ha detto che il sistema tecnico-professionale deve preoccuparsi dell’istruzione e non di una formazione che guardi con concretezza alla sfida dell’occupazione non ha evidentemente contezza delle esperienze europee, tutte tarate su questo secondo obiettivo e per questo definite su percorsi quadriennali come nella proposta del Ministro Valditara.
Chi parla di «torsione in senso lavoristico del sistema formativo» dimostra di avere una visione e una cultura novecentesca, ormai superata dalla storia, mentre il cambiamento proposto guarda con ogni evidenza al futuro e alla possibile, virtuosa sintesi tra conoscenza ed esperienza, tra sapere e saper fare, individuando il metodo e gli strumenti più adeguati per metterla in pratica e non lasciarla allo stato di sterile dibattito come avvenuto in passato.
Il metodo è quello del protagonismo delle istituzioni scolastiche, degli stessi studenti e degli attori territoriali pubblici e privati, chiamati a costruire localmente alleanze virtuose che permetteranno nel lungo periodo, e anche questo non sempre viene compreso, di rivitalizzare e ridisegnare la dimensione economica e il tessuto imprenditoriale delle comunità, in alcuni contesti oggi compromessi.
Gli strumenti sono quelli degli accordi per proporre un’offerta formativa territoriale condivisa e integrata, dei campus, dei percorsi personalizzati, dei docenti provenienti dal mondo del lavoro, degli accompagnamenti orientativi specifici, dei laboratori di approfondimento e di sviluppo degli apprendimenti, della didattica digitale, dell’esperienza sul campo, degli scambi e delle iniziative formative internazionali.
Si formeranno così tecnici competenti, certo, ma in taluni casi anche con una mentalità imprenditoriale e manageriale, in grado di rinnovare i fasti di un’economia locale nuovamente basata sul protagonismo di piccole e piccolissime imprese che inizieranno il loro ciclo di vita come avvenuto negli anni del boom economico, grazie, ora come allora, a giovani che, avendo la visione e le capacità, trovano la motivazione e le risorse per accettare e vincere la sfida più bella, quella dell’imprenditorialità, entrando così pienamente nel loro «tempo della maturità».