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Perché il tonfo di Vox riempie di dubbi Giorgia la «moderata»

 
Leonardo Petrocelli

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Leonardo Petrocelli

Perché il tonfo di Vox riempie di dubbi Giorgia la «moderata»

Si trattava, insomma, di incoronare uno schema centro+destra, basato sulla essenzialità dei voti radicali, da opporre alla piatta ortodossia della maggioranza Ursula

Martedì 25 Luglio 2023, 13:41

17:55

La «ritirata spagnola» degli elettori di Vox, che quasi dimezza i seggi del partito post-franchista, frena o forse distrugge il grande piano di spostare a destra l’asse dell’Europa. In fondo, la Spagna era un laboratorio. Anzi «il» laboratorio, quello della definitiva conferma dopo il voto in Italia, Svezia e Finlandia. Un governo formato dai Popolari, primo partito, e appunto dalla stampella di Vox avrebbe certificato l’efficacia di un modello da riproporre - uguale, uguale - anche a Bruxelles in vista delle prossime Europee: il Ppe perno centrale con accanto l’Ecr - cioè i Conservatori e riformisti di Giorgia Meloni e, appunto, Santiago Abascal, leader di Vox.

Si trattava, insomma, di incoronare uno schema centro+destra, basato sulla essenzialità dei voti radicali, da opporre alla piatta ortodossia della maggioranza Ursula. E mezzo continente si era convinto già della obbligatorietà di questa strada al punto che perfino in Germania il leader della Cdu, Friedrich Merz, nell’indignazione generale, aveva timidamente ipotizzato una collaborazione con i neonazisti dell’Afd, seppur a livello locale.

Insomma, grandi manovre inceppate ora dalle urne di Madrid che rischiano di trovare un bis in quelle polacche d’autunno dove il verdetto potrebbe essere il medesimo. Si frega quindi le mani Ursula Von der Leyen che ora ha qualche possibilità in più di sopravvivere alla tempesta con il suo arco costituzionale in salsa europea che marginalizza gli estremisti e tiene Bruxelles sul cammino di sempre, mentre a Francoforte tornano i falchi a colpi di rialzo dei tassi. Insomma, la solita Europa. Le mani se le mordono invece i due gran ciambellani della nuova strategia continentale, cioè il tedesco Manfred Weber e Giorgia Meloni il cui staff ha bollato il tonfo di Vox come una «bella botta». Certo, parlare di modello italiano per la Spagna ma anche per l’Europa è totalmente improprio. A Roma, almeno teoricamente, è la destra più radicale, quella di tradizione post-fascista, a comandare con il volto italiano del Ppe (cioè Forza Italia) e gli ex indipendentisti della Lega in posizione ancillare. In Spagna, come a Bruxelles, la situazione sarebbe comunque ribaltata sia perché sono i moderati a portare a casa il bottino grosso e sia perché gli indipendentisti, che alle latitudini iberiche non si sono rimangiati i propri propositi spacca-nazione, sono accasati in tutt’altri lidi e detestano Vox quanto i socialisti. Non c’è nessun «modello italiano», quindi. C’era piuttosto una strategia italiana che ora traballa assai con il gruppo Ecr virtualmente svuotato di peso e consistenza.

La sinistra, che spera in un bis di Sanchez o in un ritorno alle urne con esiti magari un po’ diversi, intanto esulta. E dà per appassito quel fenomeno politico che Elly Schlein definisce l’«onda nera» e che Meloni, dall’altra parte, chiama «il tempo dei patrioti». Di quali patrioti stia parlando, però, non è dato saperlo. Forse degli spagnoli, ed è tutto da dimostrare, perché il Italia il primo governo di destra-destra della storia repubblicana si è segnalato, sostanzialmente, per la scelta di non fare a pugni con l’Europa in materia economica e di qualificarsi come il miglior suddito del monarca americano (e pure democratico). La torsione atlantica è più radicale che mai, piovono armi verso Kiev, siamo più ucraini degli ucraini stessi. Economia e politica estera, la «struttura» di ogni governo, per usare un lessico marxiano, è completamente appaltata altrove, altro che patrioti. Mentre non c’è traccia del «blocco navale», per anni cavallo di battaglia elettorale, che avrebbe dovuto risolvere la questione migranti per sempre. E pure la riforma della giustizia di cui tanto (forse troppo) si parla da settimane è in realtà più un parto postumo del berlusconismo che della cultura legalitaria della destra tradizionale.

Tutto questo per segnalare come il dolersi di Meloni per il risultato di Vox sia da riferirsi innanzitutto alle già esposte ragioni di strategia piuttosto che, ormai, a questioni di carattere ideologico. Giorgia, da mesi, sembra più una del Ppe che la capofila di qualche arrabbiato gruppo europeo di estrema destra (un ruolo che lascia volentieri a Salvini credendo, a torto, di marginalizzarlo). Lo si può comprendere anche confrontando lo storico intervento dal palco di Vox nel giugno del 2022 («Yo soy Giorgia») con il composto e molto meno travolgente sostegno in video offerto in questa tornata elettorale.

Passano gli anni, aumentano le percentuali, il coraggio corsaro viene meno, la tensione sovranista cala di voltaggio e tutto cambia. L’unico forte elemento di coerenza che Meloni ha conservato nel tempo - nonostante una sorta di draghismo posticcio - è la refrattarietà agli apparentamenti larghi e la volontà di sabotarli o comunque contrastarli. Tuttavia, la maggioranza Ursula, oggi, è un po’ più forte di prima. È lì che traballa, certo. Ma, a differenza di altri, non ha perso la voce. Anzi, la vox.

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