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Se la sanità pugliese si riduce a quello che passa il convento

 
Vinicio Aquaro

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Vinicio Aquaro

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Sanità

Succede che si contrappongano due sanità: quella popolare disattenzionata e quella elitaria per chi ha autorevolezza e ricchezza.

Giovedì 04 Maggio 2023, 13:20

Lo Statuto della Regione Puglia all’articolo 10 prescrive: «La Regione… garantisce la sicurezza sociale e il diritto alla salute e all’assistenza». Enunciato brevissimo ma tanto breve da poter essere eluso e dimenticato. La brevità qualifica in forma chiara e netta un assunto giuridico obbligante a indifferibili adempimenti, atteso che lo stesso diritto è già costituito in precedenza. Non potrebbe quindi la dimenticanza di un diritto già costituito essere tollerata in attesa di una casuale sanità spontanea o di una sanità miracolistica teocentricamente impostata. Di fatto nel territorio pugliese vi è un effettivo degrado sanitario derivato da progressiva riduzione del servizio offerto e reso. Nella sanità infatti ciò che non può e non deve essere dilazionato è la disponibilità fattuale in termini di risposta pertinente. Ma la risposta per risultare efficace e valida deve essere puntuale. Al paziente il servizio sanitario non potrebbe e non dovrebbe prescrivere differimenti e rinvii. In concreto sta prendendo piede una strana sanità fondata sul mitridatismo. Accontentarsi di quello che passa il convento. In un assetto sanitario fatalistico si corre il rischio di dividere l’umanità in giovani e vecchi: nel primo caso la salute può recuperarsi da sé, nel secondo caso data l’età ci si troverebbe di fronte al quesito: cosa si può pretendere? Insomma, la rassegnazione alla quasi non-medicina diventa obbligatoria.

Sottraendo risposte e servizi, ma sempre con gradualità, si escludono reazioni violente e si fa accettare la condivisione del negativo. Di fatto però si fa accadere una insolente desanitarizzazione atta a favorire burocrazia, retorica e disuguaglianza sociale. Ma si contrappongono due sanità: quella popolare disattenzionata e quella elitaria per chi ha autorevolezza e ricchezza. L’autogestione salutistica consigliata al paziente con la vigile attesa era ed è un assurdo biologico e ha solo incrementato il rifugio religioso con la speranza dell’intervento medico divino. Così è nato un precariato salutistico nel fatalismo funzionale e tutto in contrapposizione alla razionalità, alla tecnicità e all’affettuosità indispensabili nel giusto trattamento medico. D’altra parte lo stesso personale è privo di formazione psicologica e pedagogica nel rapporto professionale. Non viene quindi preparato alla comprensione umana né viene preparato alla comprensione del disagio del malato, constatando al massimo un trattamento neutro.

Però ammalarsi significa essere di fastidio per gli altri. Mancando al servizio sanitario popolare la verifica di uno stile comportamentale mai insegnato, non c’è perversione per la sua carenza, ma c’è omissione che sarebbe giusto correggere. Alla malattia oggettiva si eviterebbe almeno l’aggiunta della malattia di un trattamento umano assai lacunoso. Ormai l’ammalato civico o popolare, quello assolutamente maggioritario, e i suoi stessi familiari la soluzione immediata che trovano è quella di rivolgersi al Padre Eterno facendosi raccomandare dalla Madonna e dai Santi. Così lo stato laico spinge alla confessionalità, con religiosità sanitaria o sanità religiosa. La risposta tecnica effettiva, sempre in tema di sanità popolare, è ormai in direzione di una nano-sanità democratica, pur in presenza di spesa crescente e di strutture senz’anima. Il primato del malato scompare affondando nel burocratismo spersonalizzato a conferma del triste riscontro di una sanità pubblica davvero gravemente malata!

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