Venerdì 19 Dicembre 2025 | 15:18

Quando la Lucidità è potere, l’Intelligence è il vero paradigma della cultura

Quando la Lucidità è potere, l’Intelligence è il vero paradigma della cultura

 
Franco Mileti

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Franco Mileti

Quando la Lucidità è potere, l’Intelligence è il vero paradigma della cultura

In un’epoca definita dalla «alluvione di informazioni irrilevanti» il ruolo dell'intelligence si spoglia della sua aura di segretezza per vestire i panni di un pilastro culturale fondamentale per la democrazia

Venerdì 19 Dicembre 2025, 13:44

In un’epoca definita dalla «alluvione di informazioni irrilevanti», dove, come ricorda Harari, «la lucidità è potere», il ruolo dell'intelligence si spoglia della sua aura di segretezza per vestire i panni di un pilastro culturale fondamentale per la democrazia. È questo il messaggio centrale emerso con forza dalla Sala Igea dell'Istituto della Enciclopedia Italiana, il «tempio del sapere» che ha ospitato la presentazione del libro «Intelligence» (Treccani) di Mario Caligiuri, professore, presidente della Società Italiana di Intelligence (SOCINT) e infaticabile, appassionato e generoso accademico-divulgatore della materia.

L'evento ha riunito un panel di altissimo livello per discutere non solo del volume – inserito nella collana «Voci» di Treccani – ma della natura stessa dell'intelligence nel XXI secolo. Un dibattito che ha intrecciato la necessità di trasparenza, la salvaguardia democratica e la sfida umana contro la disinformazione.

Ad aprire i lavori è stato il direttore generale della Treccani, Massimo Bray, che ha contestualizzato la scelta editoriale. In un mondo dove la parola più cercata degli ultimi dieci anni è «fake news», il ruolo di un’istituzione come Treccani – nata per «divulgare la conoscenza e insegnare a utilizzare le fonti» – diventa cruciale. Bray ha sottolineato come la voce «intelligence», curata da Caligiuri, fosse necessaria per aggiornare il dibattito pubblico e come il suo successo di consultazioni online dimostri una fame di comprensione da parte del pubblico, specialmente giovane.

Lo stesso Mario Caligiuri, nel suo intervento finale, ha ribadito questo concetto: l'intelligence oggi non risponde a un’esigenza di segretezza, ma a un «bisogno di trasparenza». Non è solo uno strumento per gli Stati, ma è fondamentale per i cittadini per orientarsi nella «società della disinformazione», per le aziende che affrontano la globalizzazione e per la democrazia stessa, di cui rappresenta il «cuore più profondo».

Presentare questo libro nel centenario dell'intelligence italiana, ha concluso Caligiuri in una nota personale e commovente, è un omaggio al padre – funzionario pubblico presso gli uffici di collocamento e agente Treccani, che gli raccomandò anzitutto di studiare – e al suo maestro, Francesco Cossiga. Il rapporto tra intelligence e sistema democratico è stato il fulcro dell'intervento di Lorenzo Guerini, presidente del Copasir. Guerini ha riconosciuto che la percezione pubblica negativa è stata storicamente alimentata non solo da narrazioni fuorvianti, ma anche da «fenomeni di deviazione» del passato, a cui la democrazia ha risposto con riforme cruciali, culminate nella Legge 124 del 2007.

Questa legge, ha sottolineato Guerini, è un «ottimo testo» nato da un ampio consenso bipartisan, che va «maneggiato con cura». Ha delineato un patto di reciproco rispetto: la politica deve tenere l'intelligence fuori dalla «contesa politica», e l'intelligence deve rispettare la politica fornendo analisi oggettive, rigorose e veritiere, anche quando «non piacciono al destinatario».

Guerini ha poi collegato questa architettura alla sua proposta di istituire una Strategia e un Consiglio di Sicurezza Nazionale (di cui l'Italia è priva nel G7), necessaria visto l'ampliamento del perimetro della sicurezza: non solo militare, ma anche «cibernetica, economica, finanziaria ed energetica».

Se il quadro è democratico, la sfida operativa è umana e tecnologica. Il prefetto Vittorio Rizzi, direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, ha offerto una riflessione profonda sulla condizione operativa attuale: un'alluvione di 150 zettabyte di dati. In questo scenario, l'intelligence vive il paradosso di dover praticare il «pensiero lento» – l'analisi, la comprensione – alla velocità imposta dalle crisi globali (un dossier al quale ho lavorato, ha raccontato, è diventato vecchio durante un mio viaggio in aereo). Rizzi ha molto apprezzato il libro di Caligiuri per aver restituito un concetto chiave: l'«umanesimo dell'intelligence».

La tecnologia e l'IA sono supporti necessari, ma la recente normativa italiana, recependo l'AIACT europeo, ha stabilito un principio «antropocentrico»: alla fine, «è l'uomo che decide».

La vera minaccia, secondo Rizzi, si è spostata sui domini cognitivi: la difesa del libero arbitrio dalla manipolazione. Per questo, l'Italia necessita di «sovranità digitale» e di IA addestrate non su modelli commerciali, ma sul «linguaggio dell'intelligence». Citando Caligiuri ed Einstein, Rizzi ha ricordato che le macchine possono calcolare, ma solo l'uomo possiede la «creatività» e la capacità di «comprendere».

Questo concetto era stato anticipato anche da Bernardo Mattarella, professore alla Luiss, che del libro ha colto con particolare favore l’accento posto sulla formazione. Citando l'esempio israeliano, Mattarella ha ricordato che i servizi moderni hanno bisogno di «hacker» per raccogliere informazioni, ma anche di «filosofi» per analizzarle e valutarle.

L’incontro alla Treccani, moderato da Flavia Giacobbe, si è chiuso con la diffusa consapevolezza che, in un mondo in cui «discernere ciò che è vero da ciò che è finto» è sempre più impervio, la cultura dell'intelligence non è più un affare per specialisti, ma un faro indispensabile per la navigazione di ogni cittadino.

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