Lo chiamano l’Immortale. E in effetti è davvero difficile attribuire un’età anagrafica a Silvio Berlusconi. Sembra ci sia da sempre e che ci sarà sempre, nel bene e nel male, nella storia di questa Repubblica. Come se, dopo la guerra, gli Anni di piombo e la Dc, ci sia stato solo lui. Eternamente giovane con quei capelli neri neri.
Sì, le rughe, l’andatura affaticata, quel biascichio delle parole che solo il grande Crozza sa imitare. Ma per il resto, l’Immortale è li: sorridente come quando, nel ‘94, entrò nelle case di tutti gli italiani ad annunciare una nuova era. Esuberante come nel 2007, quando da un predellino in piazza San Babila annunciò la nascita di un partito unico di centrodestra. Disinvolto e rilassato quando è in giardino con i cani, barzellettiere impenitente anche davanti ad un gruppo di suore, playboy della Milano da bere che lui inventò negli anni ‘80 e, all’occorrenza, statista internazionale, come fu grazie a lui nel 2002 con l’impensabile stretta di mano tra Bush e Putin a Pratica di Mare. Di Silvio Berlusconi ce n’è solo uno e ce ne sarà solo uno. Lo sanno anche i suoi acerrimi avversari politici, da D’Alema a Prodi. E, dopo di loro, quelli che dovevano essere i suoi avversari, come Renzi, sono diventati i suoi più fedeli alleati.
Nella buona e nella cattiva sorte, si dice nei matrimoni. E l’Italia Berlusconi lo ha sposato per davvero. Perdonandogli le intemerate in camera da letto dei «bunga bunga» o le condanne per evasione fiscale e votandolo sempre e comunque, con Forza Italia precipitata dagli allori ma mai defunta. Perché lui, l’Immortale, è come Alberto Sordi: un italiano vero, capace di interpretare tutto il «bello» e il «brutto» dell’Italia.
L’ironia, l’amore per la libertà, il credo nell’impresa, la furbizia politica e la capacità di scompaginare. Il saper sopravvivere ad ogni malasorte, che si chiami Tangentopoli o mafia. Dalla prima ne uscì vittorioso, dopo gli anni di sodalizio col craxismo imperante; dalla seconda ne è stato sfiorato, mai colpito, lasciando ad altri - dallo stalliere di Arcore al collezionista Dell’Utri - la necessità di scendervi a patti. E poi quella lista infinita di processi, un calvario ultraventennale da cui non sarebbe uscito vivo nessuno. Le case alle «olgettine», le serate di Arcore raccontate dal buco della serratura, la separazione ultra-milionaria con Veronica Lario. E quel giro di «amici», come il barese Gianpi, che lo circondavano di donne per accattivarselo. Un girone infernale attraversato con uno stuolo infinito di avvocati e infiniti processi (se ne sono contati 36 in venticinque anni).
E poi gli «amici» di partito, quelli cresciuti alla sua ombra e che poi gli hanno voltato le spalle. Ce ne sono stati tanti, ma l’unico a cui non l’ha mai perdonata è stato Gianfranco Fini, non a caso sparito in un dimenticatoio. Gli altri, dritta o storta, ce l’hanno fatta a patto che non ambissero a prendergli lo scettro del suo partito (che è suo e solo suo) dopo essere stati suoi «delfini». Lo sa bene Raffaele Fitto, oggi di nuovo ministro con Fratelli d’Italia. E lo sa Giovanni Toti, suo braccio destro prima di diventare governatore e leader di un altro partito. Ma lo ha saputo anche Angelino Alfano, che sembrava dover ereditare le redini della «creatura» politica di Berlusconi e invece è finito nello stesso angolo di Fini.
Mai tycoon arrogante alla Donald Trump, semmai elegante imprenditore-editore tradito dalle sue celebri gaffe. Impossibile ricordarle tutte, dalle più antiche (quelle con l’allora cancelliera Merkel) alle più recenti (il vino ricevuto in regalo da Putin). Protetto da uno stuolo di difensori all’occorrenza, le cui fortune sono tutte nel suo portafogli e negli incarichi (politici e non) da lui elargiti. E un «impero», Mediaset, oggi ridotto a 5mila dipendenti e sempre più lontano dall’editoria, ma che per un ventennio ha rappresentato il più formidabile monopolio privato dell'informazione in un Paese europeo.
Ecco, se un domani l’Immortale non ci sarà, non finirà come nel celebre film di Moretti Il Caimano, con l’Italia in fiamme e la folla sui gradini di un tribunale. Semmai il Cavaliere, col sorriso a 38 denti, ci saluterà tutti - circondate da uno stuolo di donne - come il Marchese del Grillo”: «Io so’ io e voi non siete un c...».