Le dimissioni della premier neozelandese Jacinda Ardern hanno fatto, giustamente, scalpore. Una leader giovane, di successo, amata e rispettata dai suoi concittadini, che si dimette non per una crisi di governo, o - peggio - per inchieste giudiziarie che la coinvolgono, ma per il desiderio, o forse la necessità, di recuperare la dimensione più privata e personale della propria vita, è un evento più unico che raro, di cui molti si chiederanno le «vere» ragioni, anche inseguendo fantasiose dietrologie. Una chiave di lettura più diretta e trasparente ce la offrono però le riflessioni più volte espresse da Papa Francesco sulla natura del potere. Con la freschezza e l’immediatezza alle quali il Pontefice ci ha ormai abituato, Egli ci dice che il potere dovrebbe essere sempre vissuto, e interpretato, come servizio, se non si vuole che il suo esercizio scada nell’arbitrio. Ciò è particolarmente vero quando, come nel caso di una carica politica (presidente, governatore, sindaco, …) il potere è stato conferito attraverso un processo democratico di delega elettiva da parte delle popolazioni interessate. Ma è vero anche per tutte le responsabilità conferite all’interno di organizzazioni di qualsiasi tipo: aziende in primis, ma anche enti, associazioni, e persino, ovviamente, chiese. In ogni caso, il ruolo manageriale viene assegnato nell’interesse (e quindi al servizio) rispettivamente degli azionisti, dei cittadini, dei soci, dei fedeli.
Il potere, però, è purtroppo una droga inebriante alla quale non è facile sottrarsi; lo status porta onori, vantaggi e soddisfazioni non solo economiche ma anche, a volte soprattutto, psicologiche ed emozionali: «cumannari è megghiu ca futtiri» recita un famoso proverbio siciliano, perché provoca ebrezza, o addirittura estasi, ed intima soddisfazione. E come tutte le droghe il potere può provocare dipendenza: di qui le crisi di astinenza che portano alla spasmodica ricerca di una illimitata continuità (come un terzo mandato non previsto dalla normativa, solo per fare un esempio…), con la solipsistica convinzione di essere insostituibili.
Per chi vive il proprio ruolo di comando con questo spirito, la decisione della premier neozelandese è assolutamente incomprensibile, e le sue «vere» motivazioni non possono quindi che essere ricercate in oscure ed inconfessate ragioni. Se però si sfugge alla droga del potere, e si vive il proprio ruolo come missione di servizio, tanto più faticosa ed impegnativa quanto più vissuta con sincero senso di responsabilità, conservando integra la propria natura di esseri umani per i quali il servizio è lavoro, e quindi fatica, gratificante quanto si vuole, ma anche terribilmente stressante, ecco che il raggiungimento del termine del periodo di servizio, e finanche la sua ricerca anticipata acquistano una dimensione di umanità alla quale guardare con grande rispetto, ma anche serenità, nella convinzione di non essere affatto insostituibili. «Lavorare stanca» diceva Cesare Pavese: il lavoro è certamente strumento di realizzazione individuale, ma anche condanna biblica, ed ognuno dovrebbe avere diritto a ricercare un ragionevole equilibrio tra le due facce della stessa medaglia. «Il punto è che anche i politici sono umani. Facciamo tutto quello che possiamo per tutto il tempo che possiamo, e poi a un certo punto è ora di andare. Ecco, per me è ora» ha dichiarato Jacinda Ardern. Riflettiamo su queste sue parole, e ringraziamola per questa bella lezione di vita, pubblica e privata insieme!