Alla Camera dei Deputati, è stato appena presentato il Rapporto Svimez 2022, la periodica messa a punto dell’economia e della società del Mezzogiorno condotta dall’Associazione per lo sviluppo dell’industria al Sud. Disegna i dati dell’economia italiana nel periodo successivo ai due «cigni neri», i due shock del Covid e quello, anch’esso inaspettato, della guerra in Ucraina. Alla ripresa che sembrava far recuperare al Mezzogiorno posizioni rispetto al Nord, è seguita la crisi energetica.
Proprio quest’ultimo shock è stato, ed è, più complesso. Lo shock pandemico aveva posto tutti sullo stesso piano, forse anzi aveva inciso di più al Nord, con lockdown più lunghi e conseguenze più significative in termini sanitari. Il Mezzogiorno, stando ai dati riportati nel rapporto ed evidenziati dalla brillante presentazione del Direttore Generale Luca Bianchi, stava partecipando a pieno titolo alla ripartenza, che era pressoché uniforme tra le macro-aree. Il rimbalzo del PIL nel 2021 aveva toccato il +6,6% in Italia, e nel Mezzogiorno il 5,9%, quindi superiore alla media EU (+5,4%).
Le politiche fortemente espansive stavano cominciando a fare effetto, sebbene la ripresa nel Mezzogiorno fosse ascrivibile principalmente al settore delle costruzioni (Ecobonus e interventi infrastrutturali legati al PNRR) e meno, rispetto ad altre aree del paese, all’export e agli investimenti delle imprese in capacità produttiva e in tecnologia. Poi, la crisi energetica.
L’inflazione, che secondo le stime SVIMEZ raggiungerà a fine 2022 l’8,5% a livello nazionale, ha un impatto molto più pesante al Sud, dove promette di sfiorare il 10%. Questo è dovuto a due ordini di fattori: da un lato al recupero del differenziale dei prezzi tra Nord e Sud, dove i prezzi di partenza erano più contenuti che nel resto d’Italia, dall’altro dall’effetto composizione della spesa. Al Sud una quota maggiore è destinata all’acquisto di beni e servizi di prima necessità (alimentari, trasporti, energia, ecc.) e a prodotti che incorporano una componente maggiore di energia rispetto al Nord, dove il costo dei servizi è aumentato proporzionalmente meno.
Per far fronte a questo shock, nel 2022, con diverse modalità, sono stati destinati alle famiglie circa 57,6 miliardi di euro (3 punti di PIL). Si stima che questo consentirà di mantenere una dinamica positiva nei consumi delle famiglie del Mezzogiorno (sostenendo quindi la domanda) che però sarà comunque più ridotta rispetto a quella delle famiglie del Centro-Nord (+3,9% vs +4,3%).
Il motore che manca al Mezzogiorno è, ancora una volta, quello delle esportazioni: a fronte di un contributo alla crescita del PIL di un punto percentuale dell’export del centro-nord, quello del Mezzogiorno contribuisce per meno di 0,2 punti percentuali. È qui che si concentra gran parte del differenziale di crescita tra le due aree del Paese. Inoltre, le imprese industriali localizzate nel Mezzogiorno presentano consumi energetici maggiori con un valore medio di intensità doppio rispetto al Nord e triplo rispetto all’industria del Centro Italia.
Questo maggior consumo energetico delle industrie del sud è spiegato dalle peculiarità del mix settoriale – produzioni più energivore (industria di base) – ma anche alla dimensione limitata delle imprese, che non consente di sfruttare adeguatamente economie di scala e di godere di posizioni di forza con i fornitori. Incidono molto anche i costi dei trasporti e della logistica, in ragione delle maggiori distanze che devono essere percorse per gli approvvigionamenti o per consegnare i prodotti ai mercati finali.
Inoltre le imprese del Mezzogiorno sono meno propense alla transizione energetica e all’adozione di pratiche green, anche in questo caso per via delle dimensioni ridotte e della limitata disponibilità di capitale finanziario e umano. L’incidenza dei costi energetici per le imprese nel Mezzogiorno potrebbe passare dall’1,2% del 2019 all’8% del 2022, dunque rischia di pesare moltissimo pregiudicando la ripresa post-Covid e le promettenti prospettive intraviste. Potrebbe affacciarsi lo spettro della recessione, con un calo dei consumi stimato da Svimez doppio rispetto al Nord.
La minore reattività, la maggiore fatica dell’apparato produttivo del Sud sono dovuti alle ben note criticità strutturali. Non per nulla la presentazione del Rapporto parte con una mappa dell’Europa che riporta l’accessibilità ferroviaria ad alta velocità nei 27 Paesi. Da Roma in giù, diversamente da quanto accade in tanti altri paesi dove la distribuzione è più uniforme o comunque sono presenti collegamenti, c’è solo bianco. Nessuna tratta è disegnata ad unire le due parti del Paese.
Il PNRR in questo quadro sembra essere, per il Sud, davvero l’ultimo treno in partenza. Ma bisogna che questo potentissimo strumento sia inserito in una politica industriale che possa finalmente liberare le grandi potenzialità del Mezzogiorno.