Tra gli anni ‘60 e gli anni ‘80 del secolo scorso, i partiti si erano lasciati alle spalle amnistie e solidarietà nazionali necessarie a ricostruire il Paese nell’immediato dopoguerra e ciascuno doveva parlare al proprio elettorato con messaggi chiari, semplici, con i volti e le movenze dei propri leader.
Le agenzie di comunicazione erano di là da venire, i social non erano ancora nati, ci si affidava ai volti, ai messaggi, ai comizi dei leader; che dovevano essere carismatici, motivare alla partecipazione, far crescere il consenso al proprio partito. I leader locali erano persone ben conosciute dai territori, con storie personali molto marcate, spesso protagonisti nelle piazze di baruffe con gli avversari politici.
Invece i leader nazionali parlavano poco in pubblico, le interviste ai giornali erano centellinate ed erano oggetto di commenti per mesi, le scadenze elettorali erano l’occasione per ascoltarli in Tv, per vedere i loro volti, nulla si sapeva della loro vita privata, ciò che importava erano le loro idee.
Erano le tribune politiche l’occasione per tifare i propri leader e per ascoltare i loro messaggi. Parole e volti che rispecchiavano essenzialmente le politiche dei tre partiti principali, il PCI, la DC, il PSI.
Per replicare alle domande dei giornalisti di destra, ad Enrico Berlinguer d’improvviso la fronte si incrinava, si intuiva lo sforzo per cercare le parole giuste per rispondere a tono, ma soprattutto per farsi comprendere in modo lineare da persone semplici. Spesso lo aiutava mostrare una busta paga, una bolletta del consumo elettrico, riferire del prezzo di un bene di consumo.
Concetti semplici da trasformare in propaganda per i militanti.
La litania dei discorsi, spesso criptici, dei dirigenti democristiani faceva da contraltare, impregnava i cittadini senza impegnarli in contrasti, in invettive pubbliche.
Era la maggioranza silenziosa, quella che pubblicamente si lamentava del governo in carica (a partecipazione democristiana per 50 anni) e poi nel segreto dell’urna si concertava a confermare lo status quo; lo suggeriva anche il prete durante l’omelia domenicale. Il pulpito, l’altra agenzia di comunicazione ante litteram.
Da Craxi i suoi seguaci si attendevano decisionismo, scarti improvvisi, fiero protagonismo e Bettino non li deludeva mai.
Se c’era da rompere a sinistra erano l’unico a sfidare il mite Berlinguer, se c’era da far valere un pezzo di potere economico era lui a sfidare i poteri forti, se c’era da dimostrare un modo diverso di stare nella alleanza atlantica, era lui a sfidare gli USA a Sigonella.
Insomma era così che la politica viveva sulle gambe della partecipazione: centinaia di migliaia di persone si sentivano protagonisti di una discussione, di un confronto.
È come immaginare milioni di messaggi, like, emoji che invece di essere lanciati in Fb, twitter, Tik Tok, Instagram venivano riversati nelle strade, negli uffici, in famiglia; era la voce il veicolo e lo strumento di comunicazione.
Le macchine della propaganda politica camminavano sulle gambe di milioni di italiani che alimentavano di linfa vitale le radici della democrazia.
Si chiamava partecipazione.