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Altro che rilancio del Sud, in 48 anni è aumentato il divario con il Nord Italia

 
Lino Patruno

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Lino Patruno

Ripresa in Italia? Ma il Sud è escluso

Il 13 settembre 1972, il Corriere della Sera pubblicò un titolo che diceva: «Il divario fra Nord e Sud verrà colmato nel 2020»

Venerdì 08 Aprile 2022, 14:54

Il 13 settembre 1972, il Corriere della Sera pubblicò un titolo che diceva: «Il divario fra Nord e Sud verrà colmato nel 2020». Oggi si direbbe che è una fake news, una notizia falsa. Eppure la previsione era di Pasquale Saraceno, valtellinese tra i fondatori della Svimez, non un pinco pallo qualsiasi. Il 31 luglio 2026 è probabile che si legga: «L’Europa ha destinato tanti soldi al Sud, ma il Sud non è stato capace di utilizzarli». E ci sono mille motivi per ritenere che non sarebbe una notizia falsa.
Primo. Facciamo il solito esempio degli asili nido. Il Pnrr (Piano resilienza e rilancio) non dice: tu hai questi bambini e questi asili, te ne servono tot di più per coprire almeno il 33 per cento dei bambini, quindi te li costruiamo. Ma dice ai Comuni: se ti servono, partecipa al bando per averli. E se non vinci al bando perché non fai un buon progetto, ti attacchi. Noi mettiamo i soldi e vinca il migliore, non vinca chi ha più bisogno. Sistema che non vale solo per gli asili. I soldi ti spettano non in quanto ti spettano, ma se sai prenderteli.

Secondo. Il 40 per cento dei fondi del Pnrr che dovrebbe andare al Sud. Lasciamo stare (ormai) che al Sud sarebbe dovuto andare non meno del 75 per cento. Perché? Perché l’Europa non si sarebbe mai sognata di dare all’Italia la cifra più alta (191,5 miliardi) se non ci fosse stato il Sud con la sua imposta diseguaglianza: dato tanto, ma proprio per colmare il divario, non per accentuarlo. Ma il bello (anzi il brutto) è che anche quel 40 per cento rischia di diventare una illusione peggiore di quella che l’Italia andasse ai Mondiali di calcio.

Terzo. Di quel 40 per cento, che sono 86 miliardi, 24,8 vanno sicuramente al Sud. Perché citano nome e cognome delle opere, dove si faranno, quanto costeranno, quando si concluderanno. Il resto è tutto stimato. Si dice: rafforzare le ferrovie, ma non dove andranno i binari. Interventi che riguardano tutta l’Italia e che potranno sgocciolare anche al Sud solo come molliche di pane. Bontà loro.

Quarto. Gran parte di quei fondi dovranno essere gestiti dai Comuni e non dalle Regioni: un po’ per la bocciatura delle Regioni, un po’ perché i Comuni conoscono più da vicino le necessità dei territori. Ma quando i governi hanno tagliato fondi per l’austerità, indovinate dove hanno tagliato di più? Ma al Sud, come ha ammesso lo stesso ministro Brunetta. Risultato: meno dipendenti, più anziani, meno tecnologici. Situazione in cui pensare a progetti ben fatti sarebbe come pensare che si possa andare a piedi sulla Luna. Serve aiuto: finora tanto concesso da parte del governo quanto insufficiente. Altro che progetti migliori, addirittura impossibilità di farli.

Quinto. Così ciò che è sulla carta è più di ciò che è concreto e sicuro. I fondi più certi, e in percentuale anche superiore al 40 per cento, sono quelli del ministero delle Infrastrutture. E si capisce: ora è più facile andare a New York che da Bari a Napoli in treno. Poi quelli per l’innovazione tecnologia e la transizione digitale, ammissione del ritardo che il Sud ha dovuto finora subire (alle anime belle che accusano sempre il Sud di voler essere assistito, si ricorda che ogni anno 61 miliardi di spesa pubblica per investimenti che spettano al Sud vanno a finire al Centro Nord: sistema rapido per accentuare il divario non ridurlo).

Sesto. Tutto ciò è confermato dal governo, che esprime «preoccupazione». E meno male. Ma alla preoccupazione non è finora seguito rimedio. Figuriamoci la preoccupazione del Sud. Il fatto è che la preoccupazione maggiore è quella di rispettare tempi e principi generali dell’Europa, non di fare equità nel Paese più iniquo del continente. E anche l’accenno di far ricorso a «poteri sostitutivi» per i Comuni che non ce la fanno, è più un accenno che una entrata in azione. Non c’è insomma un «arrivano i nostri» per rimediare alle condizioni cui per anni si è ridotto soprattutto i Comuni del Sud.

Conclusione. In 48 anni dalla previsione del 1972 fino al 2020, il divario da colmare è ancora più aumentato. La trappola dell’incompleto sviluppo per il Sud. Anche quando si vorrebbe (dovrebbe) rimediare come ora, ma solo perché lo ha detto l’Europa, non si potrebbe perché il Sud è come è. Ti abbiamo messo nella condizione di non poter fare i progetti, ora ti lamenti anche? È come quando un ragazzo del Sud va a studiare al Nord: non solo togli al Sud, ma aggiungi al Nord. Ciascuno di quei ragazzi è vittima del divario ma inconsapevolmente lo accentua. Pari pari il Pnrr se continua così. E con nemmeno uno dei cantieri previsti ancora aperto. Il 2026 potrà essere la nuova tomba per il Sud.

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